Monumento ebraico a Berlino
Il monumento che commemora gli ebrei vittime del genocidio nazista si trova nel quartiere di Mitte, lungo una sezione di quella che un tempo era la terra di nessuno tra i due lati del Muro, poco lontano dalla Porta di Brandeburgo. Impressionante nella sua grigia sobrietà, ospita anche un Centro Informazione sotterraneo (Ort der Information) sul lato sudorientale, accessibile con l’ascensore o scendendo due piani di scale.
Gli 800 mq del Centro Informazioni sono il complemento all’opera monumentale. Qui è raccolta documentazione riguardante persone e famiglie vittime dell’olocausto – con testimonianze autentiche – e dati che permettono di comprendere meglio la vastità del genocidio, non solo in Germania ma in tutta Europa. Il Centro vuole rappresentare un punto di riferimento centrale per tutti i luoghi della memoria che si trovano sul territorio tedesco, come ad esempio l’iniziativa degli Stolpersteine (letteralmente “pietre per inciampare”): targhe commemorative d’ottone poste sul selciato di fronte alle case che furono l’ultimo domicilio degli ebrei deportati.
Ci sono voluti 17 anni perché il monumento fosse completato. Il 25 giugno 1999 il Bundestag approvò finalmente una risoluzione per realizzare un’opera celebrativa che ricordasse il genocidio degli ebrei in Europa. Seguirono anni di discussioni. Il monumento fu terminato solo nel 2005. Il progetto vincente fu firmato dall’architetto statunitense Peter Eisenmann: 2711 blocchi rettangolari di calcestruzzo, sistemati a griglia in modo da sembrare sepolture.
Il monumento è aperto giorno e notte e i visitatori possono camminare liberamente al suo interno. È invece vietato arrampicarsi sulle stele, divieto mal tollerato da bambini e ragazzi. Il campo, nel suo insieme, sembra un labirinto di blocchi di altezze e dimensioni diverse, scenario ideale per una silenziosa riflessione.
Visita al Museo ebraico di Berlino
Il Museo ebraico si trova affianco all’ex Museo della Storia di Berlino dal quale si accede attraverso un tunnel sotterraneo.
Siamo nel 1971 e a Berlino sta iniziando a circolare l’idea di riaprire il Museo Ebraico, chiuso dal regime nazista nel 1938. Nel 1975 un comitato sceglie il sito dove verrà eretto l’acclamato museo: il quartiere di Kreuzberg, distrutto durante la guerra, è perfetto da ogni punto di vista per ospitare un’opera tanto simbolica. Dal 1975 molti sono stati i progetti ed i ripensamenti, ma sarà con l’architetto Daniel Libeskind che nel 1999 il museo ebraico di Berlino aprirà finalmente i battenti. Libeskind, nato in Polonia da una coppia di reduci dai campi di sterminio, libera il suo grido decostruttivista plasmando un progetto sensazionale, unico nel suo genere soprattutto per la definizione di “edificio non-funzionale”. Pensate che questa sia una caratteristica negativa per un edificio classe 1999? Nient’affatto. L’architetto Liberskind, docente della più famose Accademie di Architettura di Europa, degli Stati Uniti e del Giappone, ci dimostra che non è così: il Museo Ebraico è un “museo parlante” o meglio uno spazio definito da percorsi che descrivono la storia del popolo ebraico in Germania.
Chi ha la fortuna di trovarsi a Berlino, non mancherà di notare quanto questo edificio possa essere considerato un monumento sui generis ed in effetti il museo non si allontana dalla plasticità delle più prestigiose opere scultoree: i tagli inferti alla cortina delle pareti, rivestite di titanio, la drammaticità dei colori e delle forme, nient’altro che volumi e spigoli, parlano di una fetta di agghiacciante passato che rimarrà inesorabilmente nella storia.
Nel museo ebraico di Berlino Libeskind denuncia il genocidio, palesa l’angoscia di un popolo decimato, attraverso delle metafore più che tangibili, avvicinando l’osservatore alla soffocante realtà vissuta da milioni di ebrei durante le persecuzioni naziste. L’architettura parla di una lotta per la sopravvivenza che vede gli uomini gli uni contro gli altri; perciò Libeskind nega l’accesso diretto al museo costringendo lo spettatore a oltrepassare un buio corridoio sotterraneo che collega il Berlin Museum al Judisches Museum: “in fondo avevano tutti sangue tedesco!”. Il percorso sotterraneo permette tre scelte. Un primo corridoio porta alla cosiddetta “Asse della Morte”: una torre triangolare vuota (La Torre dell’Olocausto), illuminata sono da una feritoia sulla copertura, dove il dramma attanaglia il visitatore che forse già inizia ad immedesimarsi nei terribili eventi.
Un secondo corridoio porta all’ “Asse dell’Esilio”, che conduce al Giardino dell’Esilio: il labirintico percorso lungo un terreno in pendenza che ha al centro 49 piloni di cemento, la cui altezza di sei metri cela all’occhio gli alberi di olivagno, simbolo di pace e speranza per gli ebrei persi nella morsa dell’esilio. È interessante sapere che il numero dei piloni è un riferimento all’anno di nascita della nazione di Israele, mentre il 49° è cavo e riempito di terra di Gerusalemme. Il terzo ed ultimo asse è quello delle continuità, collegato ai primi due, ricorda il permanere degli ebrei a Berlino, nonostante la piaga dell’esilio e dell’olocausto.
L’assenza, il vuoto, il buio sono tutte sensazioni che Libeskind trasmette nella sua opera, scegliendo una gestualità progettuale forte e nitida, un linguaggio altamente significativo e comunicativo, mostrando, ad esempio, nella pianta a zig-zag (comunemente chiamato “blitz”, fulmine) l’immagine di una stella di Davide frammentata, “destrutturata”, se volessimo parlare in termini di movimento decostruttivista.
Libeskind, toccato nel profondo della sua religione, ha deciso di far prendere coscienza ai berlinesi del dramma dell’olocausto attraverso la materia. Le finestre sottili e lunghe tranciano la pelle di zinco dell’edificio, sventrano la struttura del museo con squarci casuali: così ferito, l’edificio rompe l’opulenza barocca dello storico quartiere dove è stato costruito ed urla a pieni polmoni gli orrori consumati dai nazisti. In una delle tante sale dei piani superiori del museo egli ha realizzato la più simbolica ed emblematica rappresentazione del sacrificio ebraico: una lunga e stretta stanza, piastrellata di piatti volti di bronzo, su cui i visitatori sono costretti a camminare, procurando un sordo rumore metallico nel silenzio spettrale del vano, quasi urla umane che provengono dalle bocche spalancate di quei volti anonimi.
Il Museo Ebraico è probabilmente l’esempio più emozionante di architettura contemporanea a Berlino. Il Museo è stato aperto il 9 settembre 2001 e la forma e lo stile rispecchiano una struttura concettuale complessa di caratteri cifrati, codici e temi filosofici.
Dal gennaio 1999, il Museo Ebraico è accessibile al pubblico e ha riscosso già successo e interesse, anche se all’inizio era ancora “vuoto”. Nel settembre 2001, è stata aperta la mostra permanente che racconta la storia e la vita degli ebrei di lingua tedesca.
Al Museo ebraico di Berlino si organizzano numerose manifestazioni, mostre periodiche, conferenze, concerti, workshops e proiezioni.
Immagini di Luna PASTORE, di Francesca DELL’AIA e di Vitoronzo Pastore