Sergio SARTOF
Nacque il 4 dicembre 1913 a Roma, cadde in combattimento il 9 dicembre 1940 in Africa Settentrionale Italiana. Col grado di tenente era in forza nella 22ª Squadriglia, 45° Gruppo del 14° Stormo Bombardamento Terrestre. In Squadriglia lo chiamavano “Pancho Villa”, non tanto perché somigliasse veramente a lui (e chi lo aveva mai visto?), quanto perché era il ritratto spiccicato di Wallace Beery, di cui tutti ricordavano l’efficace personificazione del turbolento eroe messicano in un film che fece epoca. Certo le fotografie, quando era ben aggiustato e col berretto in testa, sembrava più bello. Ma chi aveva modo di vivergli insieme e lo vedeva saltar giù dall’apparecchio accaldato e sbuffante o lo coglieva in uno dei suoi tanti atteggiamenti burberi, il richiamo alla figura di Pancho Villa saltava all’occhio. Era una figura simpatica, viva, forte e umana. Brontolava spesso con quel suo vocione basso e sembrava che ce l’avesse sempre con qualcuno, ma si capiva che invece voleva bene a tutti. A completare il suo carattere, avevano certamente contribuito un po’ di anni passati nell’interno del deserto, con i Reparti dell’Aviazione Sahariana. Nell’isolamento si era insabbiato ed aveva fatto una certa abitudine alla vita dura. Sembrava fatto per la vita dura, ma nell’isolamento aveva anche appresa l’orientale saggezza dei lunghi silenzi e la bellezza delle cose semplici; questo gli dava una certa superiorità nei confronti dei colleghi, ma sembrava gli rendesse un po’ aspra e difficile la vita comune, forse troppa complessa per una natura semplice come la sua. Derivavano qualche volta, da tutto questo, nei discorsi amari, in cui il buon senso si mischiava ad una profonda tristezza. I Colleghi erano convinti che un simile atteggiamento fosse soprattutto determinato dall’insabbiamento. Come pilota, bisognava fargli tanto di cappello. Aveva un’esperienza non comune e soprattutto era infaticabile uno di quei piloti che stanno cinque ore con gli occhi sui strumenti e le mani sui comandi e che quando atterrano sono pronti a ripartire di nuovo. Anche nel vigore eccezionale del fisico finiva per ricordare Pancho Villa o il suo interprete.
Allo scoppio delle ostilità prestava servizio in un vecchio Stormo coloniale, il 14°. Uno Stormo che aveva raggiunto subito un campo di schieramento e che aveva avuto i primi caduti nella guerra. Il 12 giugno 1940 Sartof era partito per la sua prima azione decollando da un campo ripetutamente attaccato da aerei nemici, per bombardare alcune unità navali inglesi che si erano presentate all’alba al largo di Tobruk. Era ritornato “nero” perché, per quanto avesse girato, non gli era riuscito di avvistarle. Si sfogò con una serie di ricognizioni isolate su Alessandria, alternate da azioni di bombardamento su reparti avversari operanti nel deserto. Il deserto lui lo conosceva bene ed aveva una predilezione particolare per le azioni all’interno; la storia delle navi non gli era andata giù, ci si accorse nei giorni di intensa attività che in Marmarica precedettero e seguirono la battaglia di Punta Stilo.
L’11 luglio, mentre la flotta inglese rientrava ad Alessandria, lo Stormo ricevette l’ordine di partire all’attacco. Sartof non riuscì a partire con gli altri per un’avaria al motore. Soltanto dopo circa un’ora di lavoro febbrile i motori cantavano che era un piacere. Sartof saltò a bordo con l’equipaggio, partì isolatamente, navigò isolatamente per un’ora, raggiunse le navi ad oltre 200 chilometri dalla costa, attirò su di sé il concentramento di fuoco di tutti i pezzi contraerei e centrò un incrociatore con una salva di bombe. Poi tornò indietro continuando a inveire contro il motorista, ma si vedeva che era soddisfatto del colpo. Per questa azione e per l’attività precedente svolta, fu proposto per la concessione di una Medaglia ‘d’Argento “sul campo”.
Gli proposero anche di andare qualche giorno in licenza, ma lui sapeva che c’era da lavorare e rifiutò. Rifiutò senza frasi, senza parole grosse, con quella brusca semplicità che lo distingueva: “Grazie, no; non ho bisogno di riposo”; e si rimise a lavorare con una lena ed un’alacrità che erano di esempio a tutti. Sul nuovo campo in cui lo Stormo si era trasferito, i voli notturni presentavano notevoli difficoltà, perché il sabbione sollevato dagli apparecchi in partenza, quando non c’era vento, si fermava a lungo sul campo e toglieva ogni visibilità in atterraggio. Provò a partire da una parte del campo e ad atterrare sul lato opposto. Anche lì c’era il sabbione, ma la visibilità era migliore, quando fu ben sicuro del sistema, si prese a bordo gli altri e per notti e notti non fece che partire e atterrare, atterrare e partire, perché tutti acquistassero sicurezza nella manovra. Poi fu la volta dei bombardamenti notturni. Ne effettuò quattro su Alessandria, qualcuno sull’isola di Creta e una ventina sugli aeroporti e i centri logistici dislocati lungo il litorale egiziano. In una di queste azioni, investito in pieno dai fasci dei riflettori, non riuscì a levarseli di dosso per cinque minuti buoni. Alla fine si butto giù in candela e riuscì a venirne a capo. Allora si rimise in linea di volo ed effettuò il bombardamento con la massima precisione. Raccontando l’episodio, diceva che gli inglesi dovevano averlo preso per una “subrette” e poi rideva rumorosamente, divertito del paragone che, tenuto conto del suo fisico, non mancava di comicità. Rise anche bonariamente quando gli offrirono per la seconda volta di andarsene un po’ a riposare.
Cadde il 9 dicembre 1940, nel primo giorno dell’offensiva inglese in Libia. Era partito col maltempo unitamente ad altri apparecchi del suo Stormo per attaccare le formazioni corazzate avversarie che dilagavano nel deserto. Sul cielo dell’obbiettivo trovarono una nuvola di caccia inglesi che piombarono loro addosso nella fase critica del puntamento. Gli apparecchi serrarono le distanze e il bombardamento fu portato a termine sotto le violente raffiche avversarie, mentre da bordo di tutti i nostri velivoli, le armi sparavano accanitamente. Fu una giornata di sacrificio e di gloria per il vecchio 14°. Attaccati da tutte le parti, colpiti, danneggiati, gli apparecchi tentarono sino all’ultimo di rimanere insieme per difendersi a vicenda a non lasciarsi sopraffare.
Uno dopo l’altro sei velivoli nemici precipitarono in fiamme ed altri tre furono costretti ad abbandonare il combattimento. Ma per quanto si battessero da leoni, i nostri non potevano farcela. Fu visto l’apparecchio di Sartof sparare sino all’ultimo, cambiar posto di pattuglia e tenersi sotto agli altri anche quando a bordo già divampavano le fiamme. Poi un’esplosione e nell’aria fu una fiamma sola: quella del sacrificio. Alla memoria del Tenente Pilota Sergio Sartof gli fu concessa la Medaglia d’Oro al Valore Militare alla Memoria con la seguente motivazione:
Capo equipaggio di velivolo da bombardamento, partecipava a tutte le azioni di guerra compiute dal suo reparto, dando prova in ogni circostanza di eccezionale perizia, di altissimo senso del dovere, di supremo sprezzo del pericolo e di grande entusiasmo, per cui rinunciava due volte alla licenza concessagli come premio della sua infaticabile attività bellica. Durante un’azione condotta contro ingenti forze meccanizzate dirette all’attacco di nostre posizioni, veniva assalito da soverchiante caccia nemica. Eseguito il tiro, nonostante il furioso combattimento già in corso, contribuiva validamente all’abbattimento di sei caccia nemici e di tre probabili. Pur avendo l’apparecchio crivellato dai colpi e già con l’incendio a bordo, persisteva nel mantenere il proprio posto a difesa della formazione, finché, per l’esplosione del velivolo, scompariva nella battaglia, facendo olocausto della sua giovane vita alla Patria, già tanto mirabilmente servita.
Cielo dell’A.S.I., giugno – 9 dicembre 1940. Regio Decreto 24 ottobre 1941
Medaglia d’Argento al Valore Militare, motivazione:
Ufficiale pilota compiva numerose azioni di guerra, dando costante prova di magnifiche qualità militari. In un’azione contro unità da battaglia nemiche, ad oltre 200 km dalla costa, in difficili condizioni di navigazione, attaccava da solo una nave avversaria colpendola in pieno e danneggiandola gravemente.
Cielo della Marmarica, 11 luglio 1940