2a Guerra mondiale

SERGENTE MARÒ EMIDIO ANCONA DISSE “NO” ALLA R.S.I. – Vitoronzo Pastore

RELAZIONE di Emidio ANCONA

Alla data dell’8 settembre 1943 il sottoscritto, sergente furiere richiamato, matricola 58506, classe 1913 si trovava a prestare servizio presso l’ufficio amministrativo dell’Ospedale Militare di Venezia; ufficio che oltre alle pratiche comuni agli ospedali M. M., aveva avocato a sé il pagamento delle rette di tutti gli appartenenti alla Regia Marina ricoverati in ospedali civili, sanatori, case di cura etc. ed il rimborso delle spese di cura agli interessati, autorizzate di volta in volta dal Ministero della Marina. Inoltre aveva la contabilità delle rette dei militari della R. M. ricoverati in ospedali delle altre FF. AA. Da conguagliarsi con le rette fruite in ospedali della R. Marina da quest’ultimi.

Nei giorni successivi all’8 settembre 1943 si ebbero i primi sintomi del disgregamento della FF. AA.. A Venezia il S.A.R. il Duca di Genova che comandava la Piazza, partì improvvisamente e gli successe al Comando, se non erro, l’ammiraglio BRENTA. Incominciò a manifestarsi in noi molta sfiducia. Molti comandi presero misure perché i militari non passassero al nemico. Altri lasciarono fare. Incominciai così a vedere militari abbandonare i propri posti a piccoli gruppi, ed anche in ospedale incominciarono le defezioni. Il Direttore, colonnello medico Ulderigo GERMANI, riuscì diverse volte invitandoci a restare al nostro posto, avendo noi il dovere, ci diceva, di assistere i nostri compagni bisognevoli di cure, molti dei quali feriti gravemente in quei giorni: alcuni erano stati sbarcati dalla R. T. “Audace” salpata da Trieste e cannoneggiata dalle batterie tedesche del porto, poscia rifugiatasi a Venezia, la maggior parte, naufraghi del R. C. “Sella”, salpato da Venezia, silurato e affondato pochi minuti dopo la partenza da un Mas tedesco, il cui equipaggio provvide a portare detti feriti sulla riva dell’Impero.

E così molto da fare per il personale di servizio il quale andava sempre più diminuendo malgrado le continue raccomandazioni del Direttore il quale assicurava che i tedeschi avrebbero dovuto, per la Convenzione Internazionale di Ginevra, aver rispetto dell’ospedale e del personale ivi destinato o ricoverato. Intanto i cadetti dell’Accademia Navale riuscirono a raggiungere l’Italia Meridionale con una nave ospedale, mentre, invece, gli allievi della Scuola Meccanici furono vigliaccamente consegnati dal comandante della Scuola in mano tedesca. Così pure molta parte del personale appartenente ai vari Enti di Marina Venezia e vicinanze, vennero radunati in Piazzale Roma e da lì furono avviati in Germania.

Dal canto mio, avendo con me a Venezia la famiglia (moglie e una figlia di pochi mesi) mi tenni guardingo, facendo la spola in abito civile fra la mia casa e l’ospedale: non avevo fiducia nel comportamento dei tedeschi ed ero fortemente deciso a starmene in casa nascosto qualora l’ospedale lo avessero occupato loro. Col passare dei giorni, la situazione venne chiarendosi per l’ospedale, avendoci i tedeschi lasciati tranquilli per nostro conto. Continuai così il servizio che svolgevo prima, però in qualità di civile, a similitudine di tutti quelli rimasti, ufficiali compresi. Il colonnello Germani ha il merito, per la sua autorità, di aver conservato integro l’ospedale e materiali relativi in esso depositati, impedendone la esportazione da parte dei militari che abbandonavano il loro posto; però contrapposto ha il torto di essersi mantenuto rigido nel concedere licenze di convalescenza più lunghe del necessario o di prendere nei confronti dei militari dimessi quei provvedimenti atti a salvaguardare la loro incolumità. Da parte mia mi sono sempre adoperato a rilasciare a molti militari false licenze di convalescenza, scontrini di viaggio gratuito ed altro nell’intento di agevolarli a non raggiungere le loro famiglie.

Nel mese di ottobre 1943, il comando tedesco che aveva preso possesso della città di Venezia, dietro suggerimento di ufficiali di Marina italiani che erano in Arsenale a servizio con loro, mandò in ospedale delle dichiarazioni che ognuno di noi avrebbe dovuto sottoscrivere per impegnarsi a collaborare con le forze armate tedesche. Tale dichiarazione nessuno di noi volle firmare. Dietro consiglio del colonnello Germani e nell’intento che l’ospedale continuasse a svolgere la sua opera umanitaria nei confronti dei nostri compagni ricoverati, firmammo invece una dichiarazione con la quale ci impegnavamo a prestare la nostra opera solo in ospedali italiani ed entro i limiti consentiti dalla Convenzione Internazionale di Ginevra riguardante la Croce Rossa. Continuò in tal modo a funzionare l’ospedale per i militari italiani e con personale civile italiano ex militare. Solo di tanto in tanto veniva ricoverato qualche militare tedesco ammalato o ferito, qualche volta venivano inviati alcuni per essere sottoposti ad esami radiografici, esami del sangue e cure dentarie.

Nel mese di gennaio 1944, e ciò sta ancor più a dimostrare che non ero considerato militare, dovetti presentarmi alla Capitaneria di Porto di Venezia in seguito al bando emanato dalla R. S. I. per il quale era fatto obbligo a tutti i militari in servizio all’8.9.1943 di presentarsi all’autorità militare per regolarizzare la propria posizione. Dalla Capitaneria di Porto di Venezia mi venne quindi rilasciato un documento attestante l’avvenuta presentazione, senza il quale non avrei potuto riprendere un qualsiasi lavoro civile ed avrei corso anche il pericolo di essere rastrellato. Faccio rilevare che mi presentai in Capitaneria semplicemente per essere in possesso di detto documento, di vitale importanza per me che dovevo provvedere al sostentamento della mia famiglia che non avrebbe potuto appoggiarsi a nessuno essendo tutti i parenti a Napoli. Mai avrei risposto a nessuna chiamata per il servizio militare. Sta di fatto che in Capitaneria diedi l’indirizzo di una casa dove non abitavo più, né mai ho comunicato il vero indirizzo mio, né quello della mia famiglia.

Nel marzo del 1944 l’ospedale passò definitivamente alla Marina Repubblicana ed io non avendo nessuna intenzione di aderire, in data 14 detto mese, lasciai di mia iniziativa l’ospedale e mi recai a Bologna dove ripresi il mio impiego presso la Casa Editrice Zanichelli. A Bologna per evitare possibili rappresaglie ho sempre abitato in luoghi diversi da quello risultante all’anagrafe, ed ho tenuto fino a poche giorni fa la famiglia a Ronchi dei Legionari (Trieste), sopportando privazioni e sacrifici di ogni genere, perché ho avuto sempre intenzione di sfuggire a qualsiasi chiamata in servizio militare o per servizi di lavoro di interesse militare della sedicente R.S.I. e del tedesco oppressore.

DISSE “NO” ALLA G. N. R – MARÒ EDGARDO POGGIPOLLINI – Vitoronzo Pastore

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