Quest’oggi nel riordinare la mia biblioteca mi sono imbattuto in quei libri comprati sulle bancarelle dei mercatini in attesa di sistemazione. Fra i tanti titoli curiosi, la curiosità di sfogliare le pagine è quasi d’obbligo (credo che capiti a tutti). Un’immagine ha attirato l’attenzione, quella qui pubblicata. Il libro in questione ha per titolo “1942-43 Un anno di scuola-Un anno di guerra” di Rodolfo Di Chio, pubblicato nel 2002 da Levante Editori – Bari.
A pagina 46 l’autore scrive: Sabato 7 novembre 1942 XXI E. F. (Era Fascista)
“Ricorre il compleanno di papà, ma neppure in questa circostanza ci siamo potuto riunire tutti intorno alla stessa tavola per festeggiare insieme l’avvenimento, nell’intimità della famiglia: Cencio è lontano, in zona di guerra; io, con l’orario in vigore sono tornato a casa dopo le 15 e Mimmo, , come al solito, è andato a scuola alle 14, al turno pomeridiano.
Pur mezzo intontito da sei ore di lezione (latino, italiano, matematica, lavoro, tedesco, ginnastica), ho mangiato come un lupo, dando fondo in un batter d’occhio ad un copioso piatto di pasta fatta in casa con della farina faticosamente ricavata macinando per ore e ore un po’ di grano avuto sottobanco, con un vecchio macinino che anni addietro triturava acini di caffè.
Debbo confessare che l’appetito sta diventando vera e propria fame; la pasta distribuita è poca, gli zuccheri e i grassi lo sono ancora meno e la quantità giornaliera di pane, ridotta sa qualche mese a 150 grammi e mantenuta per noi giovani a 200 grammi, è proprio insufficiente. Se si aggiunge il fatto che si tratta di pane nero, mal lievitato e poco cotto, è facile immaginare come tutta la razione di un giorno sparisca in tre, quattro bocconi. Dopo di che ti ritrovi con più fame di prima. Ed allora che fai? O stringi la cinta dei pantaloni fino all’ultimo buco, allusivamente chiamato “Foro Mussolini”, o canti come suggerisce una canzonetta in voga:
“senza un letto per dormire,
senza nulla da mangiar,
per calmar l’appetito
non ti resta che cantar”,
Oppure non potendo sempre cantare, contempli, sperando di saziarti, il manifesto che fa bella mostra di sé sul muro della casa di fronte e che raffigura un signore in cravatta seduto ad una tavola doviziosamente imbandita, mentre un soldato in divisa e casco coloniale gli tocca una spalla e dice “ Se mangi troppo derubi la Patria”. Mi sa che… stringi, sia che canti, sia che leggi l’invito a non derubare la Patria, la fame non si placa e lo stomaco resta vuoto”.
Ho cambiato titolo “…derubi gli italiani” e quando hai fame in questa Repubblica Democratica fondata sul lavoro: “Canta, canta che ti passa”.
Si avvicina il Santo Natale, preghiamo tutti per l’avvento, il Piccolo nascituro ci aiuterà a far sparire il flagello che ci attanaglia.
L’essere umano da questa esperienza pandemica avrà il coraggio di cambiare?