UFFICIO PROVINCIALE DI CENSIMENTO R. MARINA – MODENA
Modena, 12 giugno 1954
Io sottoscritto Adler PALAZZI, classe 1912, 2° Capo Furiere, espongo i fatti di mia conoscenza avvenuti l’8 settembre 1943, il mio atteggiamento tenuto in quei giorni e dopo. Mi trovavo imbarcato sulla Regia Nave Ospedale “Aquileia”, quale aiuto contabile agli assegni. Il 7 settembre partimmo da Sapri con un carico di Tedeschi ammalati diretti a La Spezia. L’8 settembre, alle ore 20,00 apprendemmo per radio la notizia dell’armistizio. A tale notizia i Tedeschi mantennero un atteggiamento riservato. Onde evitare possibili incidenti, il comandante del Distaccamento infermieri rese inutilizzabili gli apparecchi radio a disposizione dell’equipaggio. Da quella sera un solo apparecchio radio funzionava, quello del quadrato ufficiali. Entrammo nel porto di La Spezia il mattino del 9, proprio mentre usciva un cacciatorpediniere.
Come al solito, salì a bordo una commissione tedesca per dare disposizioni per lo sbarco degli ammalati, sbarco che avvenne regolarmente entro le prime ore pomeridiane. A quanto mi dissero, da quel momento dovevamo rimanere in attesa di ordini. Nel pomeriggio iniziarono i primi abbandoni dalla nave. Aprirono la serie tre ufficiali, il capitano medico comandante del Distaccamento, il maggiore medico del reparto di chirurgia e il tenente medico CHIERICI (credo si chiamasse così). Appresa la sparizione di questi tre ufficiali, l’equipaggio si diede ad una fuga generale, ma solo l’intervento del colonnello Direttore, il quale fece appello al senso dell’onore e dell’amor proprio, indusse una parte a rimanere al proprio posto (circa la metà). La notte trascorse abbastanza tranquilla.
Al mattino del 10 venne a bordo un picchetto armato tedesco, dichiarando di prendere in possesso la nave e ordinando al rimanente equipaggio di scendere a terra eccetto il personale di macchina ed elettricista costretti a rimanere al proprio posto. Il maggiore Commissario mi diede ordine di fare un elenco del personale rimasto a bordo, onde procedere alla distribuzione del contante rimasto in cassa. Detta distribuzione venne effettuata nella seguente misura: ufficiali L. 3.000, sottufficiali L. 1.500, sottocapi e comuni L. 500.
Dato il precipitare degli eventi, quasi tutti dovevamo abbandonare i nostri effetti personali. Io partii con una semplice tuta da lavoro che mi rese possibile il viaggio senza essere ripreso dai tedeschi. In quei primi giorni, i tedeschi erano molto attivi nel dare la caccia a militari italiani avviandoli nei in campi di concentramento. Giunsi a casa l’11 settembre. Nonostante le ordinanze emanate dai tedeschi e comandi repubblicani, non mi presentai alle autorità militari. Il 1° novembre 1943, la Banca Nazionale del Lavoro, presso la quale ero impiegato prima del richiamo alle armi, mi sospese la corresponsione della differenza dello stipendio non essendomi presentato per la regolarizzazione della mia posizione militare.
Nel dicembre ricevetti, sempre dalla suddetta banca, una prima notifica di licenziamento qualora non mi fossi ripresentato al lavoro previa regolarizzazione della posizione militare. A tale invito non risposi. L’11 febbraio 1944, la banca con nuova raccomandata, mi intimava di riprendere servizio entro 5 giorni. Considerata la mia posizione economica, da cinque mesi senza stipendio e con un non lieve carico di famiglia, considerate le conseguenze che potevano derivare da un eventuale licenziamento, decisi di regolarizzare la posizione militare. Mi presentai quindi il 21 febbraio 1944, all’Ufficio Tecnico Armi Navali di Milano, dove per farmi rilasciare il congedo, dovetti successivamente presentare un certificato medico procurato, essendo scaduto ormai il periodo di presentazione. Da allora ripresi regolare servizio alla Banca Nazionale del Lavoro di Modena, dove tuttora mi trovo in qualità di impiegato.
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