Internati Militari Italiani
Topographie des Terrors a Schöneweide-Berlino
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 i tedeschi catturarono, disarmarono e deportarono in Germania oltre 650.000 soldati e ufficiali italiani. Traditi dal Re e dal Governo, dai comandi militari e dallo Stato Maggiore Generale, abbandonati alla mercè dell’ex alleato, i prigionieri dovettero subire angherie e ritorsioni, rappresaglie e vendette da parte degli inferociti tedeschi, i quali, non soltanto non tennero conto della Convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929 relativa al trattamento dei Prigionieri di Guerra, ma si accanirono selvaggiamente contro gli incolpevoli ex alleati. Il trattamento nel documento ginevrino divenne e perdurò inumano, al limite della sopportazione, in spregio ai più elementari diritti.
I primi giorni della loro segregazione venivano costretti a collaborare, ad aderire alle loro proposte tedesche di continuare la guerra al loro fianco e sotto il loro comando contro gli alleati anglo-americani.
Fronte e retro di “impegno solenne” del 14,11,1943 a Campochiaro (Isola di Rodi)
Al rifiuto i prigionieri subirono colpi brutali di calcio di fucile per il raduno in vista della deportazione, colpi di arma da fuoco contro chi tentava di fuggire o quanto solo di attingere acqua per calmare l’aspra sete, vennero stipati in carri-bestiame, ammassati in 50 e oltre per carro, restarono senza assistenza per giorni e notti, per l’intero tragitto, senza poter provvedere ai bisogni corporali.
Pizzino bifacciale (cm 9×7) lanciato dalla fessura di un vagone sulla Stazione ferroviaria di Trento; raccolto e inoltrato dal Comitato della C. R. I. di Trento per la famiglia Giorgio PEDRACCINI a Induno Olona (Varese) e alla famiglia Gino BOSSI per Azzate per Badia (Varese)
I militari italiani fatti prigionieri dai Tedeschi sul territorio italiano venivano portati per l’internamento in Germania e territori occupati, facevano scalo sulle stazione ferroviarie di Trento e di Bolzano. A destinazione venivano immatricolati, consegnati loro la piastrina, segregati in Stammlager di prigionia cintati da due o più ordini di filo spinato, guardati a vista da sentinelle incombenti su torrette munite di mitraglia, insulti caricati d’odio e di brutalità, furono costretti alla schiavitù del lavoro forzato.
Col fine primario di far bottino e secondario di umiliare con arrogante oppressione le perquisizioni si susseguirono a ritmo incessante. Le somme di denaro venivano confiscate, ovviamente senza contropartite di ricevute. I rapaci requisitori si impossessavano di qualsiasi oggetto, senza preavviso, di giorno, di notte, per tutto il tempo della prigionia gli oggetti di valore furono i primi a prendere il volo e alle legittime rimostranze i tedeschi reagivano con feroci percosse, insulti e umiliazioni ingiustificate.
Dopo il settembre del 1944, allorché il passaggio obbligato a lavoratori civili, senza godere delle tutele della Croce Rossa loro spettanti, in molti casi la razione alimentare non migliorò. Le ruberie degli addetti tedeschi decurtarono ulteriormente le provviste.
Libretto di lavoro e pagine interne con la descrizione dei periodi lavorativi
I Tedeschi non solo impiegarono i prigionieri a spalar macerie, a sgomberare strade, a salvare il salvabile, a riparare tronchi ferroviari, a ripristinare strade e ponti, a riattare industrie, ma obbligò il lavoro coatto, senza badare alle attitudini né al grado, furono costretti a prestare la loro opera nelle fabbriche d’armi e negli stabilimenti, nonché nelle miniere, nei cantieri, sulle strade ferrate, nelle fattorie. Il tutto senza assistenza alcuna, sotto il ferreo controllo dei “Kapo” oppressivi, incattiviti e resi perfidi dall’odio razziale nei confronti dei “makaroni”, inferiori per razza e stile.
Perenne è la vergogna delle crudeltà commesse dai “Kapo”, perfidi, autori di vessazioni, umiliazioni, offese e percosse generate dall’inestinguibile odio razziale nei confronti degli italiani, ritenuti di razza inferiore, oltre che traditori badogliani.
Finalmente, dopo oltre 70 anni, vengono riconosciuti dal popolo tedesco le nefandezze dei loro antenati nazionalsocialisti o più semplicemente nazisti.
“Non piangere, non ridere, non odiare, ma capire” (Spinoza)
Numerosi internati militari venivano utilizzati per lavorare nelle ferrovie del Reich. Andrea TALMON lavorava nelle costruzioni ferroviarie. Era alloggiato in un lager per civili stranieri a Julich, il campo si trovava sul terreno aziendale dell’officina riparazioni ferroviarie dove nel 2004 sono state rinvenute la gavetta e la piastrina. l’amministrazione dell’officina utilizzava le piastrine della ditta Adrema con impressi i dati personali per i suoi operai tedeschi, ma anche per i lavoratori coatti.
Sempre vi penso
Speranza e coraggio di ritornare presto. Ivo SGHEDONI
Cintura di Armando TAROZZI fatti di cavi dai capannoni di produzione per la V 1 e ne fece una cintura nei colori della bandiera italiana. Probabilmente i pantaloni gli erano diventati larghi a causa della fame.
Immagini di Luna PASTORE Francesca DELL’AIA Vitoronzo PASTORE