Tenente Pilota Luigi GENTILE
Nacque il 12 agosto 1920 a Sammichele di Bari, tenente pilota durante la 2ª Guerra Mondiale. Era in forza all’8 Stormo di Bombardamento nella 19ª Squadriglia.
Dispensato a domanda dal servizio permanente effettivo, nel giugno 1949, veniva assunto dall’Alitalia come pilota civile. Il 26 febbraio 1960 al comando di un apparecchio di linea DC-7, decedeva al largo di Shannon, in Irlanda, in un incidente di volo, assieme all’equipaggio e passeggeri.
Medaglia d’Oro al Valore Militare con la seguente motivazione:
Giovanissimo ufficiale pilota,entusiasta e capace,dava più volte prova di coraggio e sprezzo del pericolo in numerose e rischiose azioni di guerra. Durante una missione di ricerca di camerati dispersi in mare, attaccato da soverchiante caccia avversaria, svolgeva le manovre della difesa con sangue freddo e calma esemplari. Con tutti i membri dell’equipaggio gravemente feriti e con il velivolo colpito e reso inservibile,era costretto all’ammaraggio in mare aperto eseguendo la difficile manovra con precisione e prontezza e provvedendo con le sole sue forze a trasbordare sul battellino tutti i camerati che altrimenti,essendo essi immobilizzati per le gravi ferite, avrebbero seguito le sorti del velivolo repentinamente inabissatosi. Rimanendo per tre ore in acqua per permettere ai feriti di sistemarsi sul canotto nel modo migliore,iniziava la faticosa navigazione per guadagnare la costa lontana,mai mancando di confortare i camerati doloranti con la parola e dando loro, con la serenità dello spirito,la certezza del salvamento. Con fraterna devozione assisteva il collega osservatore morente che trovava la forza estrema di additare ai compagni il sublime comportamento del giovane pilota. Per tutto il pomeriggio e la notte provvedeva da solo a dirigere il battello verso terra fino a che,dopo diciannove ore di navigazione, riusciva a sbarcare sulla riva i compagni feriti. Raccogliendo in un supremo sforzo le proprie energie,compiva una lunga e faticosa marcia per raggiungere un comando alleato cui chiedeva i soccorsi. Infaticabile,rimaneva al fianco dei compagni fino al loro ricovero in ospedale, incurante di sé, preoccupato solo dei propri uomini attoniti per tanta forza d’animo.
Cielo del Mediterraneo Orientale, 25 Giugno 1941 -D. 5 marzo 1942. B. U. 1942. Disp. 14 pag.643 e Disp. 46 pag. 2498
Venne decorato della Croce di Guerra al Valore Militare sul Campo con la seguente motivazione:
Partecipava volontariamente, in qualità di pilota a bordo di velivolo da bombardamento, alle azioni aeree delle Baleari, in cui i velivoli italiani danneggiavano gravemente potenti formazioni navali inglesi che erano così costrette a ripiegare. – Baleari, 9 luglio 1940
Leggendo le motivazioni che accompagnano la concessione di Medaglie d’Oro al Valore Militare, può venir spontaneo di classificare i diversi atti di eroismo in esse descritti con quello stile particolare, fatto di periodi ricchi di incisi, ciascuno dei quali ha una sua specifica funzione descrittiva o valorizzatrice. In questa classifica ci si trova di fronte ad atti sublimi, ma diversi per natura, svolgimento e significato. C’è che si è sacrificato scientemente in combattimento per il conseguimento di un determinato scopo, chi in combattimento ha superato stoicamente il dolore fisico perché sorretto da una suprema forza morale, chi con il rischio della propria vita ha ottenuto un grande risultato e chi, con il suo sacrificio e le sue forze, è riuscito a salvare la vita di altri. E non v’è chi non veda in questa’ultima prova quella che ha in sé più d’eroico, di commovente e di umano. La distinzione non ha carattere arbitrario. Nei 25 articoli che formano il Regio Biglietto 26 marzo 1833, con il quale venivano stabiliti i casi che potevano dar luogo alla concessione della Medaglia d’Oro al V. M., uno degli articoli, che col mutare dei tempi e dei mezzi di guerra è venuto ad essere più aderente alla condizioni attuali, è proprio quello relativo al caso di chi, con grave rischio della propria vita, salva la vita altrui.
E questo è appunto il caso del sottotenente pilota Luigi Gentile, ufficiale che aveva iniziata la sua attività bellica prima ancora di compiere vent’anni. Aveva dapprima operato sul mare e durante una serie di difficoltose azioni compiute nel Mediterraneo Occidentale si era comportato in maniera da guadagnare una ricompensa al valore militare. In azione gli era anche capitato di dover atterrare un giorno fuori casa, ma se l’era cavata nel migliore dei modi ed in pochi giorni era riuscito a rientrare alla base, dopo aver risolto tutte le difficoltà che in genere sono connesse a certe avventure. Questo era indubbiamente un buon inizio; ma per un pilota giovane un buon inizio può rappresentare molto, mai tutto.
Un pilota giovane deve prima “farsi le ossa” perché il Reparto lo si prenda veramente sul serio. E il sottotenente Gentile sapeva questo così bene che, quando la 19ª Squadriglia, della quale faceva parte, fu trasferita in Africa Settentrionale per essere impegnata come squadriglia da ricognizione strategica, si mise a lavorare di impegno e in breve tempo ebbe al suo attivo una esperienza acquisita attraverso un notevolissimo numero di azioni esplorative a grande raggio, compiute sia sul mare che nell’interno del deserto.
E questo tipo di azioni da effettuarsi sempre isolatamente su territorio nemico o su tratti di mare che il nemico può facilmente controllare, sembra fatto apposta per svegliare i giovani e per maturare le doti. Al capo-equipaggio è infatti affidata in questo caso la piena responsabilità della missione. Niente, dunque, mano alle manette ed occhi al capo pattuglia. Si parte da soli, si deve raggiungere da soli quel determinato punto che in genere è dato da coordinate geografiche, percorrere scrupolosamente una determinata rotta, scegliersi la quota più opportuna in base alle condizioni atmosferiche e di luce e, in caso di imprevisti, decidere con prontezza e di propria iniziativa.
Non ci vuole molto a capire che, dopo un po’ di questa attività, il sottotenente Gentile era alla pari con i più scaltriti “marpioni” della sua valorosa squadriglia. Ricognizioni su Giarabub, ricognizioni su Siwa, su Sidi Barrani, Bir Habata, Bir Hamara, Bir Kenays, Marsa Matruk; ricognizioni su tutta la zona di mare antistante la costa egiziana; insomma, in poco tempo Gentile aveva imparato a conoscere le piste desertiche, i pozzi e i riferimenti di tutta la zona e il profilo di buona parte del litorale. Ormai nelle sue note caratteristiche si poteva leggere la sacramentale frase “è in grado di portare brillantemente a termine qualsiasi missione gli venga affidata”. Frase che, se non rispetta rigorosamente la sintassi, è almeno categorica e precisa.
Il 25 giugno 1941 il sottotenente Gentile ebbe l’ordine di partire per ricercare i superstiti di un nostro velivolo abbattuto in mare dalla caccia avversaria e lo rendeva impaziente durante la rotta di avvicinamento. Si sapeva che il nostro velivolo era riuscito ad ammarare e la presenza in mare di un battellino era pure stata segnalata. Ma si trattava di una notizia ancora vaga, di una di quelle notizie che non si sa con esattezza da dove vengano ed alle quali ci si attacca sempre con disperato ottimismo.
A bordo sapevano pure che nella zona c’erano delle unità avversarie e che quindi era probabile incontrarvi anche degli aerei. Ma non potevano supporre di trovarne tanti. Tuttavia, quando i cinque “Hurricanes” iniziarono insieme l’attacco, da bordo del nostro “sparviero” la reazione fu pronta e violenta. Gentile virò immediatamente verso il mare aperto picchiando a tutta manetta nel vano tentativo di sfilare gli Hurricanes o comunque di ostacolare il loro attacco, mentre il tenente osservatore Patussi, l’armiere Fornera, il marconista Viola e il motorista Cordò si tenevano pronti alle armi di bordo. In breve arrivarono i primi colpi e partirono le prime raffiche di risposta. Gentile capì che non c’era niente da fare, le pallottole piovevano a bordo da tutte le parti e in capo a qualche secondo tutti i componenti del suo equipaggio erano stati feriti. Lui stesso aveva riportato qualche contusione e sentiva qualche scheggia bruciare nella carne senza essere in grado di localizzare il dolore. Tuttavia continuò a pilotare con calma. L’armiere, il motorista e il marconista avevano riportato ferite gravi, ma continuavano a sparare. Il tenente Patussi, mortalmente colpito in più parti, continuava a tenersi abbrancato all’arma e a dirigere le sue raffiche contro gli assalitori. Uno di questi fu visto cadere in mare. Ne rimanevano ancora quattro; questi continuarono per un po’ le loro puntate rabbiose, poi abbandonarono uno alla volta la preda. Ma ormai lo Sparviero non teneva più l’aria. Gentile si concentrò tutto nella difficile manovra di ammaraggio e riuscì a toccare l’acqua con assetto regolare, sebbene i comandi gli rispondessero per modo di dire. Appena toccata l’acqua, si rese conto della situazione: a bordo tutti erano feriti ed immobilizzati quasi completamente e l’apparecchio, crivellato di colpi, non avrebbe potuto rimanere a galla che per qualche minuto. L’unico che poteva aiutarlo era Anzeloni. Con lui mise in mare il battellino, poi vi trasportò di peso i compagni feriti, caricandoseli indosso uno per uno. Non sentiva il bruciore delle sue ferite o comunque lo dominava. Pensava soltanto che l’apparecchio poteva affondare da un momento all’altro e che era necessario salvare i compagni trasbordandoli in tempo sull’imbarcazione di salvataggio.
Aveva appena finito questo lavoro, quando l’apparecchio si inabissò.
Ma la parte più difficile cominciava soltanto allora. Per sistemare meglio a bordo i feriti e permettere loro una certa libertà di movimento sufficiente almeno a metterli in condizioni di fasciare sommariamente le loro ferite, il sottotenente Gentile rimase in acqua per tre ore consecutive. Poi salì a bordo, ma soltanto per cercare di dirigere con un remo l’imbarcazione. Sulle spiagge delle Puglie, dove era nato ed aveva vissuto, Gentile aveva imparato a conoscere il mare e il modo di comportarsi in determinate circostanze, non potendo portarsi al centro del battellino, vogò per ore ed ore con quel solo remo, orientarsi prima col sole, poi con le stelle. La costa era lontana e invisibile. Tuttavia bisognava insistere con volontà, rincuorare la gente, dimostrarsi fiducioso, superare per sé e per gli altri lo scoramento derivante dalla sete, dalla fame, dalla stanchezza e dalla visione dell’eroico ufficiale osservatore che si avviava lentamente alla fine senza lamentarsi, malgrado le sue numerose ferite.
Dopo 17 ore il tenente Patussi spirò con il capo appoggiato sulle ginocchia di Gentile. Le sue ultime sue parole furono forti e cameratesche parole d’augurio, di ammirazione e di addio. Bisognava superare quel critico momento la cui tragicità si rifletteva sulle condizioni degli altri feriti. Gentile strinse i denti e continuò a vogare e finalmente, dopo 19 ore, poté prendere terra e sbarcare i compagni adagiandoli sulla spiaggia. Ma il suo compito non era finito. Bisognava a qualunque costo raggiungere un posto qualsiasi per chiedere dei soccorsi e solo lui era in grado di camminare meglio degli altri e di orientarsi. Riconobbe la zona, avvistò alcuni indigeni che transitavano in quei pressi e accompagnato da loro riuscì a raggiungere una piccola posizione alleata situata nei pressi di Ras Azzaz. Dopo essersi messo in comunicazione con un nostro Comando ed aver chiesto soccorsi, volle ancora riunirsi ai camerati tedeschi e tornare con loro presso i feriti portando i primi mezzi di ristoro. Quando giunse la nostra autoambulanza, il sottotenente Gentile, capo-equipaggio impareggiabile, non si curò neppure allora di sé e volle accompagnare i suoi uomini in ospedale, incoraggiandoli sempre con la parola e, soprattutto, con l’esempio.
È perché questo esempio sia consacrato alla storia che all’eroico ufficiale gli fu concessa la Medaglia d’Oro al Valore Militare.
