Livio ZANNONI
Nacque l’11 ottobre 1909 a Faenza. Il padre Pietro e la madre Maria Ferruzzi gestivano un commercio di granaglia. Nella sua stessa casa aveva sede anche l’ufficio postale. Livio era il secondo di quattro fratelli, Mario Giacomo nato nel 1905, Ida nata nel 1914 e Vittoria (Rina) nel 1918. Fin da piccolo, si distinse per la sua generosità nei confronti degli altri e per il suo fervido patriottismo. La prima guerra mondiale era finita da poco e Faenza, come il resto dell’Italia, era percorsa da tensioni politiche che sfociavano spesso in scontri fisici tra le opposte fazioni. La madre, nell’intento di allontanare Livio dal turbolento clima politico della città, lo indusse a continuare gli studi nel seminario. Livio iniziò quindi gli studi ginnasiali manifestando anche la volontà di diventare missionario. Ma nel luglio del 1924 avvenne un fatto che sconvolse la vita dell’intera famiglia. Nel periodo della mietitura i fascisti esercitarono pressioni sui contadini perché prendessero la tessera del loro sindacato, ottenendo comunque uno scarso successo. Ricorsero quindi ad una ulteriore forma di pressione, imponendo una doppia tariffa per la trebbiatura: i non iscritti al sindacato avrebbero dovuto pagare una soprattassa di trentacinque centesimi per quintale. A seguito delle minacce da parte del contadini di non trebbiare per non sottostare al ricatto si giunse ad un compromesso. Si stabilì che la trebbiatura sarebbe stata effettuata, le relative bollette sarebbero state lasciate in bianco, la soprattassa sarebbe stata aggiunta solo se fosse stata prescritta per legge Durante la trebbiatura un’automobile con a bordo alcuni squadristi fascisti dichiararono nullo l’accordo raggiunto ed imposero l’iscrizione al sindacato o il pagamento del sovrapprezzo. I braccianti sospesero la trebbiatura. Seguì una violenta discussione ed i fascisti risalirono sulla macchina. Al momento di andarsene, dalla vettura furono sparati alcuni colpi che ferirono alcuni braccianti. Anche i contadini risposero al fuoco ferendo tre squadristi.
Nel frattempo la famiglia Zannoni si trovò in difficoltà economiche, per la riduzione del lavoro dovuta al boicottaggio da parte degli avversari politici. La famiglia decise quindi di lasciare Faenza e di trasferirsi in Toscana.
Livio, che aveva dovuto interrompere gli studi, lavorava con il padre. In questi anni maturò in lui la decisione di intraprendere la carriera militare nell’Aeronautica. Nel 1928 fu ammesso alla scuola per specialisti fotografi della Regia Aeronautica a Capua. Dopo brevi periodi di servizio a Verona e Bolzano, alla fine del 1929 fu inviato in Somalia. Appena giunto gli fu subito assegnato un compito di grande importanza. A nord la colonia confinava con la Somalia Britannica, ma la linea di confine non era stata mai ben definita per la mancanza di rilevazioni cartografiche affidabili, che erano di difficile realizzazione in quanto la zona era impervia ed era soggetta ad un clima equatoriale proibitivo per gli europei. Venne raggiunto un accordo con il governo inglese di effettuare una rilevazione aerofotogrammetrica della zona e in base ad essa tracciare il confine definitivo. Si sarebbe dovuto rilevare una zona lunga 700 km e larga 9, dalla quota di 4.000 metri. II compito sarebbe stato diviso tra un reparto italiano ed uno inglese.
Da parte italiana furono impiegati 4 aerei Ro1 con un piccolo gruppo di piloti e specialisti, con Livio come unico fotografo. II lavoro si protrasse da gennaio ad ottobre del 1930, in un clima torrido che rendeva estremamente difficile lo sviluppo e la stampa delle pellicole. Livio Zannoni era infaticabile, di giorno volava per scattare le fotografie e la sera le stampava con i pochi mezzi a disposizione, riuscendo a realizzarne quasi 6.000. Era nata anche una forma di competizione tra italiani ed inglesi, su chi avrebbe terminato la propria parte di lavoro per primi. Gli inglesi, che disponevano di un maggior numero di aerei, di tre fotografi e di abbondante attrezzatura tecnica, si sentivano sicuri di vincere, ma gli italiani terminarono prima. Il merito fu dovuto in gran parte a Zannoni, che per rendere più rapido il lavoro aveva escogitato un sistema per sostituire le pellicole mentre l’aereo era in volo. Usciva dal proprio abitacolo e strisciando sulla carlinga ricaricava le macchine fotografiche, potendo così effettuare un maggior numero di scatti per ogni missione di volo.
Nel 1932 Livio fece ritorno in Italia per curarsi dalla malaria che aveva contratto a seguito di un atterraggio di emergenza in una zona fortemente contagiosa. Dopo la convalescenza partecipò al corso per diventare sergente della Regia Aeronautica, nonostante ci fosse in corso la pratica per il suo avanzamento per meriti eccezionali. Risulto essere il primo del corso per la specialità fotografi. Dopo un breve periodo di servizio sul territorio nazionale, chiese di potere ritornare in colonia. La sua richiesta fu esaudita, e ancora una volta gli fu affidato un incarico di responsabilità, il rilievo fotografico della Migiurtinia, la parte del nord est della Somalia che si protende verso il golfo di Aden a fianco della Somalia inglese, per fornire ai comandi militari delle carte da utilizzare per eventuali operazioni. Nel 1934, in occasione della visita del re Vittorio Emanuele nella colonia, Livio fu incaricato dal comando dell’Aviazione di effettuare un servizio fotografico durante le varie tappe della visita del sovrano. Nel dicembre dello stesso anno un incidente di frontiera tra Somalia ed Abissinia nei pressi del fortino di Ual Ual, una zona molto ricca di pozzi d’acqua, servì all’Italia di pretesto per iniziare i preparativi per l’invasione. II 3 ottobre del 1935 le truppe italiane attaccano l’Etiopia. La Società delle Nazioni, nel tentativo di dissuadere l’Italia dal continuare nell’invasione, promulgò delle sanzioni economiche nei confronti del nostro paese. Ma l’avanzata continuò fino a che il maggio del 1936 le truppe italiane entrarono in Addis Abeba. Livio era sempre pronto ad andare in azione, anche nelle più rischiose, tanto che il 4 novembre il tenente pilota Angelo Mastragostino, pensò proprio a lui come compagno ideale per una missione rischiosissima che fu conosciuta come “la beffa di Badu-Annan”. Mastragostino decise di andare a piantare una bandiera davanti ad un forte abissino che era ritenuto imprendibile. Due giorni dopo decollarono, in compagnia di un altro aereo e raggiunsero il fortino di Badu-Annan. Vi atterrarono davanti e Livio scese e piantò davanti al portone un’asta di ferro con appeso un nastro tricolore. Quando gli abissini si ripresero dallo sbigottimento e iniziarono il fuoco, dall’aereo, già in fase di decollo, partirono numerose raffiche di mitragliatrice, poi quando fu in quota lanciarono anche le bombe a loro disposizione. Intanto continuavano le operazioni terrestri e il reparto di Livio, la 1° Squadriglia Ricognizione Terrestre della Somalia era costantemente impegnata in ricognizioni sia visive che fotografiche da trasmettere alle colonne avanzanti
II 26 dicembre, due aerei della squadriglia furono destinati ad una ricognizione nella zona di Daghabur. Uno era pilotato dal tenente Zaccardo, l’altro dal sottonente Tito Minniti di Placanica, in provincia di Reggio Calabria. Minniti, coetaneo di Zannoni, era un pilota di complemento trattenuto in servizio per le ottime qualità dimostrate, partito volontario per l’Africa Orientale. Era zio di Marco Minniti, sottosegretario alla presidenza del consiglio del governo D’Alema. Livio, che non doveva partecipare alla missione, chiese insistentemente al fotografo che doveva operare sull’aereo di Minniti di cedergli il posto. Alle sette i due aerei decollarono dall’aeroporto di Gorrahei e dopo un paio di ore raggiunsero Daghbur, una città fortificata che avrebbe potuto rappresentare un ostacolo per le truppe terrestri.
La reazione della contraerea fu molto intensa e l’aereo di Minniti e Zannoni fu visto abbassarsi sulla città. Successivamente scomparve dalla vista dei compagni di volo che sorvolarono numerose volte la zona nella speranza di ritrovarlo. Presumibilmente l’aereo era atterrato in una radura della boscaglia e poteva essere visto solo se veniva sorvolato sulla verticale. Durante la notte, da una comunicazione radio intercettata si venne a sapere che nei pressi della piazzaforte di Daghbur era stato abbattuto un aereo nemico. Questo alimentò qualche speranza nei compagni che pensavano che i loro commilitoni avessero potuto sfuggire alla cattura nascondendosi tra la vegetazione. Ma da una successiva intercettazione si venne a sapere che i due aviatori erano stati uccisi dopo essersi difesi ad oltranza con le armi di bordo. Nei giorni successivi i resti dell’aereo vennero ritrovati dalle nostre truppe terrestri durante l’avanzata.
I funerali di Livio Zannoni a Mogadiscio (foto Genenerale Ranza)
Ad ambedue gli aviatori fu concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria con la seguente motivazione:
Sottufficiale fotografo provetto e di rara capacità, si offriva in ogni contingenza entusiasticamente per effettuare ardite ricognizioni e voli sul territorio nemico. II giorno 26 dicembre, partito in volo dal campo di Gorrahei per eseguire una ricognizione fotografica su Dagahbur, essendo stato l’apparecchio colpito da violento fuoco di reazione antiaerea che lo costringeva ad atterrare nelle linee nemiche, anziché sottomettersi alla soverchiante massa nemica, accorsa baldanzosa per catturarlo, imbracciata la mitragliatrice e affiancatosi al suo ufficiale pilota, ingaggiava titanica lotta. Rimasto isolato dal suo ufficiale, anziché cedere al numero, preferiva continuare l’impari lotta, finché, soverchiato, trovava gloriosa morte. Fulgido esempio di elevate virtù militari e di fiero e nobile spirito di abnegazione. Dagahbur, A. O. I. 26 dicembre 1935.
Regio Decreto 11 maggio 1936