28 gennaio 1946 la trucidazione di otto Carabinieri
Il tragico eccidio alla Casermetta di Feudo Nobile, contrada in provincia di Caltanisetta, in cui otto carabinieri pagarono con la vita la propria illimitata devozione al dovere e alla causa della giustizia.
Il retroterra siciliano ed alcune zone della costa nord-occidentale ed orientale, furono teatro d’azione di alcune bande organizzate e purtroppo le più pericolose d’Italia. Nel periodo che va del 1945 ai primi mesi del 1946, l’attività di questi gruppi di fuorilegge si fece più intensa e pericolosa, con azioni di massa a grande raggio. I capobanda più attivi erano: Molano, Avila e Giuliano; solo quest’ultimo sopravvisse e signoreggiava ancora dal suo rifugio di Monte Sagana presso Montelepre (Palermo); gli altri due caddero sotto il piombo dei loro complici, dopo che, con azione lunga e difficile, le forze di polizia erano riuscite a disgregarne la compagine.
Questi banditi, durante il periodo di maggiore agitazione, furono certo al servizio di integranti politici, che avevano interesse a mantenere le campagne siciliane, terrorizzando le forze dell’ordine ed in particolar modo i Carabinieri. Nel periodo acuto si verificarono in provincia di Palermo, ma anche altrove, assalti in serie alle caserme dei carabinieri, condotte con arte, da uomini armati, bene equipaggiati e soprattutto allenati con una tattica speciale. I fuorilegge, dopo aver isolato le caserme tagliando i fili telefonici, le circondavano nella notte e le attaccavano di sorpresa. Se la resistenza dei militari non lo impediva, gli attaccanti serravano sotto e con piccole cariche di dinamite si aprivano un varco. Venivano così distrutti archivi e caserme, e molto spesso i carabinieri pagavano con la vita la propria strenua volontà di resistere. Tra gli assalti di maggiore rilievo, bisogna ricordare quelli di Pioppo, di Grisi, di Moltelepre, tutti in provincia di Palermo. Ma l’assalto che ha mietuto maggior numero di vittime innocenti, fu indubbiamente quello del Feudo Nobile, in provincia di Caltanisetta.
La casermetta di Feudo Nobile era isolata e perduta in pieno latifondo, senza collegamenti diretti. Nel pomeriggio del 10 gennaio, circa una cinquantina di fuorilegge attaccarono il piccolo edificio isolato, dopo averlo completamente circondato. I carabinieri si batterono come non era possibile meglio, ma ad un certo punto, i fuorilegge, per affrettarne la resa, riuscirono ad incendiare i locali. Respinti dalla fiamme, gli otto carabinieri furono costretti ad uscire all’aperto, dove, bocconi sul nudo terreno, spararono fino all’esaurimento delle munizioni, difendendosi anche col calcio dei fucili. Ma i banditi si impadronirono di loro e dopo aver distrutto la caserma, li trascinarono via.
La notizia giunse a Caltanisetta a mezzo di un colono, che da lontano aveva potuto seguire la dolorosa vicenda. Non fu possibile rintracciare gli attaccanti, né le vittime. Solo per induzione e tenendo presente che la zona era battuta da Avila, i sospetti si appuntarono sulla famigerata banda di costui. Era Avila, uno dei più feroci banditi del latifondo, più volte assassino, taglieggiatore e violatore di donne. Giungere sino a lui era impresa quanto mai ardua e fu necessario prima di superare la fitta rete di favoreggiatori che la paura e la connivenza gli avevano creato intorno. Solo dopo molti mesi, la polizia riuscì a isolare le fila di questa banda, mettendo i banditi gli uni contro gli altri, sino a quando lo stesso Avila fu ucciso da uno dei suoi gregari. Subito dopo fu possibile finalmente arrestare alcuni dei banditi, tra cui lo stesso figlio del capobanda defunto, che gli era succeduto al comando.
Si poté così ricostruire la vicenda dell’assalto alla caserma del Feudo Nobile e subito fu chiaro a tutti, che i carabinieri erano stati trucidati. Nonostante le prime reticenze, alcuni, fra cui un certo Milazzo, confessarono. Si era giunto così alla seconda metà di maggio. Nella calura ormai dominante la petraia del latifondo, cominciò la ricerca dei resti degli eroi caduti. Dopo molti giorni di ricerche, nei vari feudi, i resti furono rinvenuti in una “discenteria”. Si trattò di una buca stretta e profonda una ventina di metri, a suo tempo scavata a scopo di assaggio dai minatori delle zolfare. I corpi erano completamente ischeletriti, coperti da grossi massi. Sul luogo dell’esumazione, i truci assassini confessarono i particolari dell’eccidio. Dopo 18 giorni di peregrinazioni nella solitudine dei feudi, il capo Avila decise di sbarazzarsi dei carabinieri. La notte del diciannove gennaio, conducemmo gli otto uomini incatenati e seminudi nei pressi della ‘discenteria’ e li invitammo a denudarsi ed a scendere nella fossa. Alle loro domande rispondemmo che intendevamo lasciarli lì sotto, per allontanarci con sicurezza. Dopo un’ora avrebbero potuto uscire. Non tutti cedettero. Alcuni cercarono di opporsi alla tragica discesa nel buio, illuminato da torce a vento, ma con la forza furono cacciati giù. Tre di noi, poco dopo aprirono il fuoco sino ad ucciderli tutti. Poi con dei massi, ostruimmo la ‘discenteria’.
Immagini (di seguito) e articolo di Arturo DE BENEDETTI parzialmente modificato tratto da “La Settimana” del 20 giugno 1946
I nomi degli otto Carabinieri eroi:
Brigadiere Vincenzo AMENDUNI, 39 anni da Ruvo di Puglia (BA) comandante della casermetta Feudo Nobile
Carabiniere Mario BOSCONE, 22 anni da Palermo
Carabiniere Giovanni LA BROCCA, 20 anni da Gioia del Colle (BA)
Carabiniere Fiorentino BONFIGLIO, 28 anni da Cereale (Savona)
Carabiniere Emanuele GRECO, 25 anni da Lascari (Palermo)
Carabiniere Mario SPAMPINATO, 31 anni da Misterbianco (Catania)
Carabiniere Pietro LORIA, 22 anni da Roccamena (PA)
Carabiniere Vittorio LEVICO, 29 anni da Bolognetta (PA)
Uno degli addetti alla rimozione delle salme scende nella buca munito di maschera
Gli addetti al recupero delle salme, provvedono con gran fatica sotto il sole a picco a rimuoverli ad uno ad uno
Le salme riesumate, ischeletrite, vengono alla luce
Triste funerale per la squallida petraia del latifondo. Le bare caricate su un piccolo carretto vengono portate verso Mazzarino
A Mazzarino, il popolo gremiva le strade ed affollava i balconi, le otto vittime del dovere, quasi tutti figli di lavoratori e di contadini, ricevettero lacrime e fiori
A settanta anni di distanza, esattamente il 5 aprile 2016, agli otto Eroi dei Carabinieri fu conferita la Medaglia d’Oro al Valore dell’Arma dei Carabinieri alla Memoria, con la seguente motivazione:
Con ferma determinazione, esemplare iniziativa ed eccezionale coraggio, nel corso di un servizio perlustrativo, unitamente ad altri militari, non esitava ad affrontare un soverchiante numero di fuorilegge, appartenenti a pericolosa banda armata. Fatto segno a proditoria azione di fuoco, replicava con l’arma in dotazione, dopo aver trovato rifugio all’interno di un fienile, resistendo strenuamente sino al termine delle munizioni, allorché veniva catturato. Costretto a marcia forzata nell’agro Nisseno per 18 giorni, sottoposto ad atroci sofferenze fisiche, ininterrotto digiuno e vessazioni, veniva, barbaramente trucidato. Chiaro esempio di elette virtù militari e altissimo senso del dovere.
Ex feudo Nobile, agro di Gela (CL) – Ex feudo Rigiulfo, agro di Mazzarino (CL), 10 – 28 gennaio 1946