Ancora una volta aiutato dal mio Angelo Custode
Era la domenica del 19 giugno alle 22,00 circa, guardavo la telecronaca del campionato mondiale di Formula Uno di Montréal, disteso comodamente sul divano, quando improvvisamente…
Il 20 Aprile di qualche mese prima, incominciai ad accusare malessere: dolori dappertutto specie agli arti superiori, non sentivo il gusto dei sapori, una astenia per un piccolo sforzo accompagnato da una leggera dispnea che si dissolveva dopo qualche minuto a sedere o fermo in piedi. Mi assalì il sospetto di positività al COVID e pensai agli ultimi quattro o 5 giorni, ai vari contatti avuti con persone soprattutto per l’approvvigionamento alimentare. Nulla mi trapelava di un’eventuale untore. Ormai il sospetto della positività mi assalì e mi recai in farmacia per l’esecuzione del tampone: nell’attesa speravo e pregavo. Dopo una mezz’oretta mi senti chiamare: l’operatore mi allungò il braccio per darmi la certificazione della positività. Con la sintomatologia che accusavo me lo aspettavo, ma nello stesso tempo mi assalì lo sgomento per l’efficacia delle tre vaccinazioni anticovid e di una prossima eventuale quarta dose che in quel periodo si annunciava, indispensabile per i miei 73 anni e per la mia patologia cardiologica, che già in passato mi aveva procurato problemi di edema polmonare e diverse chiamate al 118 con risoluzione nei diversi pronto soccorso e ricoveri negli ospedali di Milano e terra di Bari.
Improvvisamente, quella sera del 19 giugno, mi alzai dal divano per raggiungere il bagno per una normale minzione: una decina di passi. Al ritorno, disteso, incominciai ad accusare una dispnea che col passare di pochissimi minuti si tramutò in vera “fame d’aria”. Chiamai Laura, mia moglie, invitandola con cenni a chiamare il fatidico numero salvavita: il 118, gli feci capire a gesti che mi sentivo sempre peggio. Lei chiamò tempestivamente mia figlia, che essendo infermiera, accorse prontamente, allertò il 118. Nell’attesa dell’ambulanza mi rilevò la pressione arteriosa, tra l’altro altissima, mi reperì un accesso vascolare periferico e nell’attesa dell’ambulanza mi somministrò del diuretico. Operazioni che si rilevarono importanti successivamente.
Pochi furono i minuti di attesa e non ricordo le modalità di come fui portato in ambulanza: finalmente l’ossigeno, mi legarono semi-seduto sulla barella e via! Le incitazioni a respirare con tranquillità erano incessanti, qualcuno si chinò chiamandomi per nome, mi guardava negli occhi tramite una visiera trasparente, la mascherina nascondeva il suo viso e una voce mi ripeteva di controllare il respiro; mentalmente lo ringraziavo, capivo il suo intento, io al suo posto avrei fatto e detto la stessa cosa essendo un infermiere in pensione. Chissà quanto ossigeno avrò inspirato con quelle leggere e frequente inspirazioni: mi sentivo sfinito e cosciente, forse anche troppo. Con le esperienze precedenti immaginavo già il percorso da casa fino all’uscita del mio paese: Casamassima (Bari).
Il dramma in un dramma senza risoluzione: “il manto stradale dissestato”. Ad ogni buca si scuoteva l’ambulanza producendo oscillazioni e vibrazioni più o meno violente che mi facevano sobbalzare all’interno, legato con fasce sulla barella e con lo schienale in verticale. Quel sobbalzare infastidiva il ritmo del mio respiro! Un disagio che giornalmente viene affrontato andando in autovettura a velocità più bassa del consentito evitando il disastroso manto stradale paesano, per evitare le oscillazioni e percosse che potrebbero nuocere ad un portatore di AICD-Biv (impianto sottocutaneo di defibrillatore bi-ventricolare), costretto giornalmente all’uso dell’auto per lunghi percorsi impercorribili a piedi.
La corsa verso l’Ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti mi sembrava interminabile, non si arrivava mai. L’incitamento del personale sanitario dell’ambulanza a non farmi perdere coscienza fu veramente straordinaria: “forza Pastore, ci siamo quasi”.
Ad ogni ispirazione emanavano un suono di rassegnazione, pensavo a mia madre di quasi 99 anni deceduta 10 mesi prima e le dicevo ‘aiutami ancora’.
Sentii la discesa della rampa del pronto soccorso: “finalmente ci siamo, pensai!”. Mi aspettavano. Dalla barella passai sul lettino, a tratti sentivo voci incomprensibili, a volte ordini impartiti. Udii la parola ‘acidosi’.
E già, pensai, la frequenza alta degli atti respiratori per un periodo più o meno lungo crea un aumento degli idrogenioni, creando una riduzione del PH. Alterazione che se non corretta in breve tempo crea problemi a carico dell’apparato respiratorio e dell’apparato renale determinando la morte.
L’incitamento dei sanitari, medici e infermieri, era altissimo, mi chiamavano per nome: ‘dai Vitoronzo che ce la fai, respira lentamente’! Avevo la bocca tappata dalla Cpap, una maschera particolare per l’ossigeno. Sentivo quella frescura entrare in bocca, senza risoluzione di sorta mi accorsi che mi stavo lasciando andare: senti una voce femminile che mi diceva: “non ci lasciare”. Fu una scossa elettrica che invase tutto il corpo! Feci una lunga inspirazione, trattenni e buttai tutto fuori; una seconda, una terza… mi accorsi che dominavo il respiro e mi rilassai. Pensai che ormai non ero più nella bara. Sì, il personale mi strappò alla morte, come Angeli custodi. Qualcuno mi accarezzava dolcemente la fronte, sentivo due mani sul piede come carezze.
Una voce maschile disse: c’è l’abbiamo fatta e ce l’ha messa tutta”. “No”, pensai,”. Siete stati Voi con la vostra professionalità, con la vostra umanità, con la vostra abnegazione e partecipazione empatica a mettercela tutta! Grazie di cuore.
Fui portato in terapia intensiva cardiologica; ero già stato in quel posto qualche anno prima, facce conosciute, qualcuna nuova. Intorno al letto si era formato un girotondo di personale tutto indaffarato: fleboclisi, prelievo arterioso e venoso, fili per monitoraggio dei segni vitali. Dopo poco vidi sollevarsi la tenda di isolamento e affacciarsi la mia cara Laura e Benedetta. Erano due marziane sorridenti e preoccupate, vedevo solo i loro occhi. Laura si chinò per darmi un bacio su quella parte di viso libera dalla maschera dell’ossigeno, allungai la mano, la prese e con l’altra mi accarezzava il dorso e ci si guardava. Quanti dispiaceri le avevo dato e mi promisi di non darne più. Chiesi l’ora, erano l’una e trenta. Caspita, pensai che la fame d’aria era durata più di un’ora. Sentii scendere lacrime silenziose di abnegazione e sottomissione al volere del Signore mio Dio e dal mio Angelo custode: ancora una volta non era giunta la mia ora!
Giorno dopo giorno comunicavo i miei piccoli progressi a Laura durante l’ora di visita parenti. Non vi era più tensione, ma felicità per avercela fatta anche se ero ancora in terapia intensiva. Parole di incoraggiamento dominavano in reparto nei miei confronti, parole che pian piano mi portarono al giorno in cui mi trasferirono nel reparto sub intensivo, un sollievo d’animo e di vita. Finalmente senza tubi e senza ossigeno, quasi nuovo ma debole. Tutto procedeva in una lenta ripresa. Ogni tanto trascorrevo il tempo camminando lentamente per la corsia del reparto, incrociavo altri pazienti che facevano la stessa cosa: uno sguardo d’intesa che raccontava tutto il mal comune. Sentivo miglioramenti giorno dopo giorno. “Non si preoccupi signor Pastore! Tutto procede per il meglio”, mi diceva ogni giorno il mio medico ma contemporaneamente pensavo ai postumi che sicuramente avrei affrontato nel prossimo futuro. Una mattina, dopo la solita visita medica, la visione degli esami ematochimici fatti il giorno prima, degli indici di pressione arteriosa e bilancio idrico, il medico mi accennò che il giorno successivo potevo essere dimesso. La gioia fu breve, in quanto lo stesso, aggiunse che avevo necessariamente bisogno di un ciclo riabilitativo ed ero già in attesa per la mattina successiva presso l’Istituto di Riabilitazione Maugeri di Bari. Ovviamente accettai. Il 29 giugno, nel primo pomeriggio attraversai l’ingresso dell’Istituto, un vero gioiello riabilitativo. Fui accolto con gentilezza e cortesia che mi accompagnò per tutta la mia degenza fino al 18 luglio. Regnava ogni giorno da parte di tutto il personale abnegazione e professionalità degna di nota, con particolare encomio al personale medico ed agli operatori del reparto di riabilitazione.
A tutti coloro che si sono intrecciati tra le maglie di questo mio complicato percorso; a tutti coloro che con tenacia professionalità ed umanità mi hanno riportato in condizione di salute; a tutti coloro che mi hanno letteralmente salvato dico: GRAZIE! Sarà vero che esistono episodi di malasanità, ma non bisogna dimenticare quanti invece grazie alla stessa sanità tornano a vivere così come capitato a me. Ancora grazie a tutti.