L’emozionante discorso del tenente Michele Montagano
Signor Ministro degli Esteri della Repubblica Federale di Germania,
Signor Ministro degli Esteri della Repubblica Italiana,
Signori della Fondazione Topografia del Terrore e del Centro di documentazione sul lavoro forzato durante il Nazionalsocialismo,
Signore e Signori,
consentitemi, anzitutto, di volgere un breve pensiero ai tanti compagni d’armi Caduti nei Lager nazisti della Germania e della Polonia, perché in questo momento nell’aria intorno a noi aleggia il loro ricordo indimenticabile. Io dò voce anche a Loro nel rendere la mia breve testimonianza, simile a quella di tutti i prigionieri di guerra, scientemente declassati a Internati Militari Italiani per meglio essere sfruttati come forza lavoro.
Il silenzio che ha oscurato la storia dei 650 mila IMI, oggi esplode in questo luogo di memorie che, a oltre 70 anni dagli avvenimenti, è stato recuperato e dedicato a quei militari italiani che si sono rifiutati di collaborare col Nazifascismo, scegliendo volontariamente e personalmente di rimanere nei Lager di internamento, e a volte anche di sterminio, in condizioni durissime.
L’8 settembre 1943 ero il Signor Tenente Michele Montagano, Ufficiale del Regio Esercito Italiano, e, come Guardia alla Frontiera, prestavo servizio in Slovenia. All’annunzio dell’armistizio con gli Alleati, io e la mia compagnia fummo catturati dai soldati tedeschi e sottoposti a discriminazione: o con loro o contro di loro! Non appena fui disarmato della pistola d’ordinanza, ho respinto l’invito tedesco e ho gettato in faccia al “nuovo” nemico il primo dei tanti NO!, che poi ho ripetuto testardamente negli 8 officierlager durante i lunghi e duri mesi della prigionia.
La brutalità della reazione tedesca fu immediata, alimentata dal disprezzo contro tutti i militari italiani, ritenuti traditori. La conseguenza fu l’avvio verso i lager su carri bestiame, stipati sino all’inverosimile, in condizioni penose e umilianti. Nei campi, soldati e ufficiali dovettero sopportare la rigida disciplina, le sadiche punizioni, la fame terribile, il rigore del clima, la sporcizia, i parassiti, la mancanza di notizie da casa, la lenta distruzione della personalità, per essere ridotti a semplici “Stücke”,“pezzi”, da usare per la vittoria finale di Hitler.
I giovanissimi tra gli internati, in special modo quelli come me, i Volontari Universitari della Classe 1921, avevano nutrito la loro adolescenza di entusiasmi e certezze: facevano parte di una generazione allevata all’obbedienza assoluta al Duce, alla devozione al Re, all’esaltazione retorica e nazionalista della Patria. Ora, nei lager di prigionia, mentre vengono rinchiusi dietro il filo spinato, per la prima volta si sentono arbitri del proprio destino e assaporano la libertà di scelta.
Nel luglio del 1944 la Germania aveva estremo bisogno di manodopera. Hitler e Mussolini sottoscrivono un ignobile accordo che in Italia viene propagandato come “la liberazione degli internati”, ma che alla Germania consentiva la precettazione per il lavoro coatto e obbligatorio anche per gli ufficiali. A tal proposito ricordo la reazione dei 214 ufficiali che, congedati dal Lager di Witzendorf con la forza delle armi e dichiarati civili, portati sul lavoro, per cinque giorni incrociarono le braccia e si rifiutarono di lavorare. La risposta della GESTAPO fu durissima e 21 di loro furono destinati alla decimazione, mentre con alte grida e minacce il Capo sentenziava: “Questi non li vedrete mai più”.
La condanna sarebbe stata inesorabile se 44 Ufficiali, e tra questi c’era anche chi vi sta parlando, non si fossero spontaneamente offerti di sostituire i decimati. Noi volontari fummo messi al muro in attesa dell’esecuzione che, inspiegabilmente, dopo molte ore di angosciosa attesa, venne commutata nel carcere a vita da scontare nel Campo di rieducazione al lavoro di Unterlüss, satellite di Bergen Belsen, sotto lo spietato controllo delle SS. e della Gestapo. Nel giro di 40 giorni, sei dei nostri compagni muoiono, uccisi da bastonate, torture, lavoro bestiale, fame e freddo. Morti che si aggiungono ai circa 50mila che persero la vita in quei 20 lunghi mesi di prigionia. Una prigionia che è stata una vera e propria resistenza al Nazifascismo, una guerra combattuta senz’armi, ma con la sola forza della volontà e dello spirito, espressa con una piccola ma grande parola: NO!.
La vicenda degli IMI è stata oggetto di interesse nel 2008 da parte dei Governi di Germania e Italia, che nominarono una specifica Commissione di storici italiani e tedeschi per approfondire questa pagina di storia ancora poco conosciuta. A conclusione dei suoi lavori, la Commissione sottolineava la necessità di istituire parallelamente a Berlino e a Roma un luogo della memoria per gli IMI che ricordasse il loro singolare destino, al fine di adempiere, entrambi, a compiti di natura scientifica e storico didattica. Il suggerimento della Commissione di storici si è concretizzato oggi, a Berlino, con la realizzazione della mostra permanente “Tra più fuochi. La storia degli Internati Militari Italiani 1943-1945”. Si tratta di un polo culturale, operante a livello internazionale; uno spazio-laboratorio aperto alla formazione dei giovani e degli operatori della scuola; un punto d’incontro per cittadini impegnati alla costruzione di una cultura ispirata ai valori di pace, di libertà e di rispetto tra le genti, nella dignità e nella tutela dei diritti umani.
Proprio in nome di questi stessi valori l’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia e dall’Internamento, che qui rappresento, attraverso il proprio Centro studi, documentazione e ricerca, ha realizzato a Roma la Mostra temporanea (che speriamo diventi permanente) “Vite di IMI. Percorsi dal fronte di guerra ai lager tedeschi 1943-1945”. Lo stesso Centro studi ha curato anche il “Libro commemorativo dei Caduti”, una banca dati con accesso on-line nella quale sono inseriti tutti gli IMI che hanno perso la vita durante la prigionia, con la prospettiva di essere ulteriormente ampliata per divenire un Lessico biografico, nel quale venga registrato il più alto numero possibile degli oltre 650mila internati militari italiani.
Tali iniziative sono un atto dovuto per non disperdere il patrimonio storico, culturale e umano legato alla drammatica vicenda degli IMI e affinché divengano moltiplicatori di memoria di quei valori spirituali, sempre validi, che gli internati militari italiani operarono tanti anni fa in quel “mondo fuori del mondo”. Esse costituiscono un utile contributo per costruire tra l’Italia e la Germania quella “nuova politica della memoria” a favore della quale tanto si sono impegnati i Ministri degli Esteri di Italia e Germania. A loro va il nostro più sincero ringraziamento. Senza il loro sostegno, infatti, non sarebbe stato possibile avviare e portare a buon fine tanti progetti che hanno visto l’attiva collaborazione tra i nostri due Paesi. Ricordiamo in particolare che fu lo stesso Ministro Steinmeier a decidere, insieme al Ministro italiano dell’epoca, la creazione della Commissione degli storici, al vertice italo-tedesco di Trieste.
Per quanto mi riguarda, sento di poter concludere che sono riuscito a passare attraverso il tragico mondo concentrazionario senza odiare nessuno, neppure i nazisti, anche se loro, per quasi venti lunghi mesi, hanno cancellato dal consorzio umano il nome del tenente Michele Montagano e mi hanno marchiato con il numero 27539 come IMI e con il numero 370 come politico KZ. Di certo i nazisti che conoscemmo nei campi erano soltanto strumenti spietati di una fede fanatica e di una disciplina rigorosa e spesso disumana, ma abbiamo avuto anche la ventura di conoscere alcune donne e uomini tedeschi dispensatori di umana pietà. Soli, a riscattare il peccato e la malvagità di tanti criminali fra i nostri carcerieri.
Oggi noi ultranovantenni, superstiti dei campi di internamento e di sterminio, auguriamo che un domani le nuove generazioni si ricordino di noi, non per le dure condizioni sopportate nei lager, ma per la scelta volontaria e traumatica che gli IMI hanno eroicamente operata contro il nazismo, nella stessa terra di Germania. Quella stessa Germania che oggi, insieme all’Italia, vuol dimostrare che da quelle tragedie i due Paesi sono usciti e oggi lavorano insieme per un futuro di pace e di sempre maggiore coesione europea.
MICHELE MONTAGANO
con Francesca DELL’AIA
A Schöneweide-Berlino. Museo “Il lavoro forzato di tutti i giorni” con Luna PASTORE e Francesca DELL’AIA
Michele MONTAGANO – Articolo apparso il 3 dicembre 2016 su “LA VOCE DEL PAESE – Edizione CASAMASSIMA