UBALDO D’ADDOSIO (soldato)
Educato nella famiglia e nella scuola ha santi principi di italianità, il giovanetto D’Addosio Ubaldo, acceso di santo entusiasmo, lo dimostrò prima nei movimenti studenteschi e poi soprattutto nell’imposizione affettuosa che egli fece ai suoi genitori di voler partire volontario: promette loro che tornerebbe!
Assegnato dapprima in un ufficio di maggiorità, egli non può soffrire l’inazione, vuol combattere, per questo era corso lassù: lo chiede e lo ottiene. Quando, ammesso al rapido corso di allievi ufficiali, sta per iniziarlo, parte all’assalto di una trincea, la occupa, è elogiato con l’esortazione di essere altra volta meno audace. Ma l’audacia era nella sua natura: nel tramonto del 2 settembre 1917, monta la sentinella, e al sergente che gli consiglia di non esporsi troppo, risponde con calma che farà tesoro delle sua parole. Poco più tardi, una scheggia di granata lo fa cadere sul suo posto del dovere, dandogli appena tempo di rivolgere il pensiero alla sua cara Patria e ai suoi genitori.
Cenno autobiografico di Ubaldo D’ADDOSIO
Ubaldo D’Addosio, nato in Bari l’11 novembre 1898 da Pasquale e da Amalia Boccia, era dedito ai suoi studi tecnici quando già la guerra europea divampò fatalmente. Erano i giorni della vigilia per l’Italia ed in tutti gli animi si sentiva la necessità che la Patria nostra dovesse portare il suo contributo alla causa santa della civiltà, della giustizia e dell’onore e raggiungere i giusti confini che la natura aveva dati e Dante addita dal ricordo marmoreo di Trento. I giovani d’Italia sentirono che era giunta l’ora di mostrarsi degni dei loro antenati e bisognava vendicare l’onta di Custoza e Lissa.
E Bari nel giorno in cui si infranse il fatale legame con l’eterno barbaro nemico, non fu seconda a nessun’altra città ed unanime con a capo la non piccola falange degli studenti giurò di essere pronta ad ogni sacrificio. Ubaldo D’Addosio, che, e nella famiglia e nella scuola, era stato educato ai santi principi d’italianità, fu tra i primi in quei giorni come, di poi, tra i primi fu sul campo di battaglia. Egli, a capo dei suoi compagni di scuola, volle prendere parte all’entusiastica dimostrazione, anzi ebbe l’onore di reggere il bel tricolore d’Italia e ne fu orgoglioso.
Da quell’istante, unico suo desiderio è di prendere viva parte agli avvenimenti e chiede consenso ai genitori di partire volontario per il fronte. Questi non acconsentirono: non che essi volessero sottrarre il proprio figlio al suo dovere, ma perché egli usciva appena da una lunga malattia, ed era ancora molto deperito in salute. Questo primo intoppo non lo scoraggia, anzi lo rende impaziente ed anela che la sua classe fosse chiamata alle armi. Lascia gli studi, ché ben altro si agita nel suo fervido animo e nel suo fervido cuore, e finalmente parte anche lui, sorridente, felice, sicuro. È lui che incuora i suoi, che li incita a sperare, ad aver fede. Egli ritornerà, sì, fra i suoi, lo promette; non piangessero però pensando a lui, scrive egli, nel giorno che il fratello va a nozze.
Dapprima viene assegnato dai suoi superiori in n ufficio di Maggiorità, ma egli non può soffrire l’inazione: Egli anela di combattere contro i nemici, vuole anche egli essere tra i prodi che a palmo a palmo riguadagnavano il suolo della Patria. Rinunzia dunque al sicuro posto da lui occupato per l’aspra trincea.
E da qui egli scrive ancora ai suoi che sta benissimo, che non si preoccupassero; ed i suoi scritti rispecchiano tutto il suo entusiasmo, e tutta la coscienza che egli ha nel compimento del suo dovere come anche attesta il rapporto che qui si allega e che il suo comandante fece di lui fosse ammesso al corso di allievi ufficiali. E mentre è in attesa di fare tale corso, prende parte all’assalto di una trincea nemica, contribuisce valorosamente all’occupazione di essa, meritandosi l’elogio del suo Comandante di Compagnia e l’esortazione da parte dello stesso alla prudenza perché troppo si era esposto.
Trascorrono appena cinque giorni da che sta sulla linea del fuoco nella suddetta trincea, quando nel tramonto del 2 settembre 1917, egli monta la sentinella ed al sergente che gli consiglia di non esporsi troppo risponde con calma che farà sempre tesoro delle sue parole.
Sono le 18 meno due minuti (come attesta il suo orologio fermato) quando una fatale scheggia di granata lo colpisce in pieno petto facendolo cadere sul suo posto del dovere, dandogli forse appena il tempo d’invocare le cose a lui più care, a lui più sacre: IL NOME DELL’ITALIA, IL NOME DEI SUOI GENITORI!
MONUMENTO OSSARIO DI BARI – QUOTIDIANO DI BARI – Vitoronzo Pastore