Rancio freddo? Pronto il rimedio
Durante la Grande Guerra la Croce Rossa Italiana diede il suo contributo alla causa nazionale non solo prestando quell’assistenza sanitaria per la quale è rimasta celebre ma anche promuovendo una vasta e capillare campagna di solidarietà. A tale scopo si attivò in tutti i modi, soprattutto raccogliendo fondi e facendo giungere al fronte tonnellate di generi di conforto. Tra gli aspetti minori di questa meritoria opera va annoverato l’invito rivolto alla popolazione a collaborare anche ‘artigianalmente’ alla vita dei nostri soldati al fronte. Una delle espressioni più tenere di questo tipo di collaborazione fu la confezione del cosiddetto ‘scaldarancio’. Esemplificazione dell’arte dell’arrangiarsi e forma esemplare di riciclaggio, lo scaldarancio consisteva in un rudimentale ma efficace sistema per riscaldare le gavette. Tale esigenza nasceva dal fatto che a causa della distanza delle cucine da campo dalla linea di fuoco, il più delle volte il rancio giungeva freddo in trincea; se poi la temperatura scendeva sotto lo zero, il rancio poteva ridursi nella gavetta ad un immangiabile blocco di ghiaccio. Dello scaldarancio parla il nostro Vitoronzo Pastore nel suo ultimo lavoro di ricerca, ‘Altruismo e parole d’Altri Tempi, 1915-1918’, un poderoso studio edito qualche mese fa da Suma Editore e che si sofferma sulle privazioni, gli eroismi e i gesti di generosità di cui il primo conflitto mondiale fu testimone. “Le materie prime per lo scaldarancio erano : giornali vecchi, sego e cera. Si prendevano dei fogli di giornale e si cominciava a piegarli e arrotolarli fino a fare una specie di salame, piuttosto compatto. Con una taglierina, infine, si tagliava il ‘salame’ in dischi spessi poco più di un centimetro. Intanto, a parte, si metteva a bollire del sego col 5% di cera vegetale. Quando cera e sego erano ben disciolti, vi si immettevano le fettine di giornale, in modo che galleggiassero e si imbevessero di sego e cera per tre, quattro minuti. Quindi si ritiravano i dischetti con una schiumarola e li si poneva ad asciugare in un luogo areato. Una volta asciutto, lo scaldarancio era pronto per l’uso : Con un temperino si praticava un taglio, si tirava fuori una linguetta di carta a mo’ di lucignolo e gli si dava fuoco con uno zolfanello”. Lo scaldarancio, poi, poteva essere impiegato anche come combustibile per bollire l’acqua. Tre o quattro scaldaranci messi sotto una gavetta facevano bollire mezzo litro d’acqua in poco più di dieci minuti. La produzione di scaldaranci toccò l’apice proprio in Puglia. Il solo Comitato Barese di Assistenza arrivò a spedire al fronte oltre un milione di scaldaranci, meritandosi ripetuti encomi dall’Intendenza dell’Esercito che lo annoverò tra i più operosi d’Italia.
Italo Interesse
Altruismo e Parole d’Altri Tempi 1915-1918 – Vitoronzo Pastore