Generazioni a confronto: il politico contemporaneo e il sopravvissuto ai campi di lavoro
di Francesca DELL’AIA
Luna Pastore – Vitoronzo Pastore – Francesca Dell’Aia, a Schöneweide
Ai microfoni, nel corso dell’inaugurazione della mostra, il ministro Gentiloni e il tenente Montagano: due italiani, un unico messaggio, all’insegna della pace e della sinergia tra Italia e Germania
Un significativo confronto generazionale, quasi a rappresentare un doppio binario: il filo della continuità intellettuale da una parte, l’esperienza vissuta di una sofferenza indelebile, e dunque il ricordo, dall’altra. La mostra di Schöneweide, a Berlino, resterà impressa per sempre nel cuore e nella mente di noi tre casamassimesi intervenuti, oltre che degli altri italiani presenti, per le indescrivibili emozioni che è stato in grado di suscitare, oltre all’ingresso in un ex campo di lavoro, oserei dire forzato, per italiani, anche e soprattutto l’eco delle voci di tuoi ‘conterranei’ mentre si fanno depositari di testimonianze efficaci di fronte a un pubblico tra cui si annoverano soprattutto tedeschi, a partire dalle testate giornalistiche e dalle emittenti televisive.
Un doppio binario, si diceva. È esattamente la dinamica a cui abbiamo assistito, non con poca commozione: da una parte una persona più giovane e nel vivo della sua carriera politica, dall’altra un veterano di guerra che ha vissuto, tra le altre cose, anche gli anni bui del lavoro nei campi, sotto lo sguardo vigile dei nazisti. Da una parte un’alta carica dello stato italiano, dall’altra un comune cittadino, un ex soldato, un superstite dell’internamento. Da una parte il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Paolo Gentiloni, dall’altro il tenente Michele Montagano.
“Non si può non essere commossi – ha aperto così il suo discorso Paolo Gentiloni, membro anche della Terza commissione Affari esteri e comunitari – dall’attraversare questo luogo nel quale sono stati esposti tanti simboli, tanti segni, tanti documenti di alcune delle peggiori stragi naziste. In modo particolare ci si è concentrati sulla vicenda di quei soldati italiani che dopo l’8 settembre si trovarono ad essere vittime di quelli che erano stati i loro alleati e che pagarono con la prigionia, e talvolta con la morte, con i lavori forzati, la decisione di fronte all’alternativa sul se sostenere il nazifascismo o rifiutarsi di farlo. Dissero no, lo dissero apertamente, nonostante il prezzo che questo comportava”.
Un passaggio decisamente emblematico, quest’ultimo, se si considera che, dopo il suo appassionato intervento, Michele Montagano ha tenuto a sottolineare, in un dialogo a tu per tu con noi tre, che ciò che ha ispirato il suo discorso è stato il ricordo, sempre vivo in lui, dei morti lasciati in Germania e in Polonia. “Non mi sono emozionato – ci ha raccontato – perché in quel momento, in veste ufficiale, ho rappresentato tutti gli IMI. Sono solo stato fiero di pronunciare quelle parole e di rappresentarli, perché si è trattato per la prima volta di un riconoscimento in terra di Germania, la stessa terra dove abbiamo resistito senz’armi al Nazifascismo”.
Nato a Casacalenda, in provincia di Campobasso, nel 1921, in una famiglia borghese, Michele Montagano si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Milano. Ex combattente, è stato funzionario di banca, ora in pensione. Grande ufficiale al merito della Repubblica e Medaglia d’oro al merito della Croce Rossa, il tenente è componente della Commissione per le medaglie d’onore ai prigionieri e deportati in Germania, nonché della Commissione per le provvidenze ai deportati nei campi di sterminio. Partecipa a conferenze e testimonianze nelle scuole e nelle università, sia in Italia che in Germania, nelle televisioni e in convegni di studi storici sulla Resistenza. Si definisce orgoglioso per la lotta al Nazismo, eticamente combattuta come internato militare italiano in Polonia e in Germania.
Presidente nazionale vicario dell’Associazione nazionale reduci dalla prigionia, dall’internamento, dalla guerra di liberazione e loro familiari Onlus, Montagano si è imbattuto nella mostra poiché Enzo Orlanducci, presidente nazionale della medesima associazione, fa parte del Comitato consultivo scientifico che ha seguito in tutte le fasi progettuali, a livello storico-contenutistico, “Tra più fuochi. La storia degli Internati Militari Italiani 1943-1945”. L’Anrp da sempre promuove iniziative e progetti sulla memoria degli internati militari italiani, tra cui, ultimamente, la mostra “Vite di IMI. Percorsi dal fronte di guerra ai lager tedeschi 1943-1945”, inaugurata a Roma nel febbraio 2015, in gemellaggio con quella realizzata a Berlino e inaugurata proprio lo scorso 28 novembre. Ma non solo. L’Anrp ha realizzato anche l’Albo degli IMI caduti nei lager nazisti 1943-1945 e il Lessico biografico degli IMI, un data base online predisposto per annoverare i dati anagrafici e biografici del maggior numero possibile dei 650mila internati, tra cui i 50mila deceduti.
“Queste iniziative – ha asserito in proposito Montagano – costituiscono un utile contributo per costruire tra l’Italia e la Germania una nuova politica della memoria”. Aspetto evidenziato anche da Gentiloni, che ha affermato che “la missione della memoria è di grandissima importanza, una memoria da trasmettere ai giovani, una memoria condivisa, una memoria europea. Il cammino che abbiamo compiuto ci ha portato a diverse tappe nel corso degli anni, da quando è iniziato nel 2008”. Chiaro il suo riferimento al momento in cui la vicenda degli IMI è divenuta oggetto di interesse da parte dei governi di Germania e Italia, che nominarono una specifica commissione di storici italiani e tedeschi atta ad approfondire questa pagina di storia ancora poco conosciuta. A conclusione dei suoi lavori, la commissione sottolineò la necessità di istituire parallelamente a Berlino e a Roma un luogo della memoria per gli internati che ricordasse il loro singolare destino, al fine di adempiere, entrambi, a compiti di natura scientifica e storico-didattica.
“Abbiamo moltissimi progetti in corso e di alto valore – ha asserito Gentiloni – grazie anche al contributo finanziario offerto dal governo tedesco con il Fondo italo-tedesco per il futuro. Il nostro auspicio è che questa attività progettuale possa proseguire sempre. È da questa memoria condivisa che dobbiamo partire per continuare nel nostro tempo a far fronte alle sfide che l’Europa oggi ha davanti: la crescita, ma anche i flussi migratori, tenendo a mente la lezione della storia, perché la vigilanza rispetto al risorgere di nazionalismi, di egoismi, di chiusure protezionistiche, non è mai sufficiente. E dobbiamo farlo insieme, la Germania e l’Italia e non solo queste due nazioni, per dimostrare con i fatti che, come ci ammoniva Helmut Schmidt, se noi europei vogliamo avere la speranza di mantenere un significato per il mondo possiamo farlo solo in comune”.
“Coltivare la memoria e la conoscenza di un passato che è certamente doloroso – ha proseguito – è quindi il miglior antidoto di cui disponiamo per salvare quell’Europa capace di solidarietà e di amicizia costruita a partire dalle generazioni successive alla guerra. Per far questo dobbiamo ricordare il passato e impegnarci per il futuro e dobbiamo farlo in particolare in un momento difficile dell’Unione Europea. Sforzandoci abbiamo l’occasione, con il sessantesimo anniversario dai Trattati di Roma, di tornare alle ragioni profonde che hanno fatto straordinario questo progetto nel mondo, perché l’Unione Europea ci è servita prima a uscire da una guerra e dalle sue atrocità e poi ad avere uno sbocco democratico nella divisione dell’Europa, anche durante la Guerra fredda. Quello stesso progetto deve continuare a servirci oggi per tenere alti i nostri valori a livello mondiale”.
Un doppio binario, dicevamo prima, quello percorso a Berlino. Da una parte il ricordo, dall’altra la speranza per ciò che sarà prossimamente. Magari in Italia non ce la passiamo benissimo, in una fase in cui, oltre a disservizi e mancato rispetto di tanti diritti, i più alti valori della Repubblica vengono messi quotidianamente in discussione, come se nulla fosse, attraverso un bombardamento mediatico che fa balenare l’ipotesi di una ‘dittatura’ a prova di clic, nell’era virtuale, ma a Berlino, nel cuore dell’Europa, si è respirata un’aria nuova, quella della dignità, del coraggio, del contatto diretto, del guardarsi di nuovo negli occhi, della perseveranza, quasi e paradossalmente si fosse tornati per un attimo indietro, a un’epoca drammatica della nostra storia, eppure fatta di cose semplici, una fase che avrebbe dovuto insegnarci tanto, tutto.
L’obiettivo, uno soltanto: non smettere di gettar luce sul dramma della guerra e della persecuzione, per attestarci, come sempre nella nostra storia, quale popolo democratico, solidale, sovrano e soprattutto innamorato delle proprie radici. È la storia che ce lo insegna e che ce lo chiede. Basterebbe un pizzico di consapevolezza in più sulle nostre potenzialità e sui nostri valori, quella stessa consapevolezza che a Berlino, nella lontana Germania, è riaffiorata improvvisamente nel cuore dei presenti e ci ha riempiti di orgoglio, ripensando al passato (ma strano a dirsi oggi), proprio in quanto italiani.
*Si ringraziano Rosina Zucco, responsabile del Dipartimento educativo storia e memoria dell’Anrp e Gisella Bonifazi, segretaria dell’associazione, per il materiale messo a disposizione.