Il contagio dei ricordi
Le nostre scarpe venivano risuolate all’infinito, le portavamo da “Giacmìn u scarpar” il calzolaio, che le faceva rivivere, sembravano sempre nuove.
D’estate però non usavamo quasi mai le scarpe, eravamo felici a piedi nudi specialmente nei prati o nella terra. Non ci spaventavano i sassi sotto i piedi teneri che subivano dalla natura carezze e graffi. Accettavamo tutto con gioia perchè nessuno chiudeva l’interruttore a questa gioia nessuno deviava i nostri desideri quando eravamo soli e senza gli sguardi dei genitori.
Il maestro ci trattava privi di attitudini per determinati compiti, sopra la scrivania aveva una bacchetta di legno, la usava spesso sulle nostre mani già indolenzite dal freddo, era molto severo e dava punizioni anche dolorose (tirate di orecchie, bacchettate sulle mani, le ginocchia sopra la brecciolina). Erano diversi i bocciati, altri interrompevano la scuola.
Si scriveva con il pennino e l’inchiostro e prima di iniziare la lezione si recitava la preghiera, poi si passava all’ispezione dell’igiene personale. Il maestro usava apostrofarci con epiteti in dialetto, ci trattava con rispetto e amore paterno come un bravo insegnante!
L’aula era fredda, in classe eravamo quarantadue e questo ci aiutava a stare più caldi. Il ritorno dalla scuola si faceva correndo e giocando, eravamo come tanti cuccioli usciti dalla gabbia.
Uno dei pochi ricordi belli di quel periodo riguardava la festa dell’albero, forse perché uscivamo da quelle quattro mura umide e fredde.
A casa mangiavo, si facevano i compiti e poi andavo nell’orto ad aiutare mio padre, tagliare o stirpare l’erba, o semina o raccolto. Mio padre a volte lo guardavo da lontano, sembrava così piccolo paragonato al grande ulivo. Già allora la testa non mi funzionava come agli altri infatti ricordo che facevo la comparazione fra alberi e uomini. Dicevo l’albero è enorme, potente, ma mio padre seppure piccolo non produce solo olive o mandorle, ma tante cose quindi, è più grande di un albero e so che questa grandezza la vedevano solo i miei occhi che andavano oltre quel corpo esile e stanco, in lui vedevo la potenza e la forza.