PAGLIAGGI
Pagliacci è un’opera lirica in due atti su libretto e musica di Ruggero Leoncavallo.
Fu rappresentata per la prima volta al Teatro dal Verme di Milano il 21 maggio 1892, con Fiorello Giraud, Adelina Sthele, Victor Maurel, Mario Ancona e la direzione di Arturo Toscanini.
TRAMA
La rappresentazione inizia a sipario calato, con un baritono, in genere quello che interpreta Tonio, solitamente in costume da Taddeo, che, dopo un’introduzione strumentale, si presenta al proscenio come “Prologo” (Si può?, si può?), fungendo da portavoce dell’autore ed enunciando i principi informatori e la poetica dell’opera. Il prologo di Pagliacci costituisce un vero e proprio manifesto poetico-programmatico della corrente verista all’interno della Giovine Scuola italiana.
La compagnia di Canio è giunta in un paesino del sud Italia. Nontaldo Uffugo, in provincia di Cosenza (come riportato da molti libri), ma in realtà è ambientato ad Acerenza, dove il Santo Patrono di tale città è San Canio, per inscenare una commedia. Canio non sospetta che la moglie Nedda, molto più giovane, lo tradisca con Silvio, un contadino del luogo, ma Tonio, fisicamente deforme, che ama Nedda e ne è respinto, lo avvisa del tradimento. Canio scopre i due amanti che si promettono amore, ma Silvio fugge senza essere visto in volto. L’uomo vorrebbe scagliarsi contro la moglie, ma arriva Beppe a sollecitare l’inizio della commedia perché il pubblico aspetta. Canio non può fare altro, nonostante il turbamento, che truccarsi e prepararsi per lo spettacolo (Vesti la giubba).
Dopo un intermezzo sinfonico molto intenso, Canio/Pagliaccio impersona appunto un marito tradito. La realtà e la finzione finiscono col confondersi ed egli riprende il discorso interrotto poco prima, rinfacciando a Nedda/Colombina la sua ingratitudine e dicendole che il suo amore è ormai mutato in odio per la gelosia. La donna, intimorita, cerca prima di mantenere un tono da commedia, ma poi, minacciata, reagisce con asprezza. Beppe vorrebbe intervenire, ma Tonio, eccitato dalla situazione, di cui è responsabile con la sua delazione, glielo impedisce, mentre gli spettatori, dapprima a loro volta attratti dalla trasformazione della farsa in dramma, comprendono troppo tardi che ciò che stanno vedendo non è più finzione. Di fronte al rifiuto di Nedda di dire il nome del suo amante, Canio, con un coltello, uccide lei e Silvio presente tra il pubblico e accorso sul palco per soccorrerla.
A tragedia compiuta, secondo lo spartito originale, Tonio/Taddeo esclama beffardo e compiaciuto, rivolgendosi al pubblico: “La commedia è finita!“. Tale battuta passò precocemente a Canio con l’approvazione dello stesso Leoncavallo, divenendo la prassi esecutiva abituale.